Il 3 aprile 2019 il Parlamento ha definitivamente approvato la
legge n. 31/2019, con la quale ha riformato la disciplina sull’
azione di classe (c.d.
class action) precedentemente prevista dal Codice del consumo (D.Lgs. n. 206/2005), riconducendola nell’ambito del codice di procedura civile, all’interno del nuovo Titolo VII bis “Dei procedimenti Collettivi”, agli artt. da
840 bis a
840 sexiesdecies.
Contestualmente, vengono
abrogate le norme attualmente vigenti in tema di azione di classe contenute negli artt. 139/140 bis del
Codice del consumo, le quali, tuttavia, continueranno ad applicarsi nei confronti delle condotte illecite poste in essere prima dell’
entrata in vigore della nuova legge.
La
finalità di questa
riforma è quella di
allargare il campo di applicazione dell’azione di classe, trasformandola da strumento posto unicamente a tutela dei consumatori a
rimedio più generale, per la tutela dei diritti individuali di tutti i soggetti.
Per questo, oltre a trasporre l’intera disciplina della
class action all’interno del codice di procedura civile, la nuova
legge ha eliminato qualsiasi riferimento a consumatori o utenti, rendendo l’azione
esperibile da tutti coloro che avanzino pretese risarcitorie, anche di natura extracontrattuale,
in relazione alla lesione di “diritti individuali omogenei”.
Soggetto titolare dell’azione può essere o ciascun componente della “classe” di persone che ha subito la lesione di diritti individuali omogenei, oppure le organizzazioni o associazioni senza scopo di lucro i cui obiettivi statutari comprendano la tutela dei predetti diritti e che siano iscritte in un apposito elenco istituito presso il Ministero della Giustizia.
I destinatari dell’azione saranno invece le imprese o gli enti enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità, in relazione ad atti e comportamenti posti in essere nello svolgimento delle proprie attività.
L’
ambito di applicazione oggettivo dell’azione è stato ampliato e la
class action è ora esperibile non più solamente nell’ambito dei rapporti commerciali, ma, più in generale, a tutela delle situazioni soggettive scaturite dalla realizzazione di condotte lesive, allo scopo di accertarne la
responsabilità e di procedere alla condanna al risarcimento del
danno ed alle restituzioni.
La
domanda per l’azione di classe si propone con
ricorso e la legge prevede che al procedimento si applichino le norme del
procedimento sommario di cognizione, nonostante vi siano molteplici e rilevanti differenze rispetto a tale rito.
Il procedimento è articolato in
tre fasi: le prime due, di
competenza del Tribunale delle imprese (più specificamente, la sezione specializzata ove ha sede l’impresa o l’ente
convenuto), attengono all’ammissibilità dell’azione ed alla decisione sul
merito; la terza fase riguarda la liquidazione delle somme dovute nei confronti degli aderenti alla classe ed è affidata ad un giudice delegato, che pronuncia con
decreto.
È previsto che, in caso di
inadempimento delle obbligazioni di pagamento, sia possibile avviare la procedura di
esecuzione forzata, esercitabile anch'essa in forma collettiva.
Mentre nel Codice del consumo era possibile
aderire all’azione di classe solamente subito dopo l'
ordinanza che ammetteva l'azione, la riforma ora prevede che sia possibile aderire sia nella fase immediatamente seguente all'ordinanza che ammette l'azione, sia pure in una fase successiva, dopo la pronuncia della sentenza che definisce il
giudizio, e dunque dopo che è già stata accertata la responsabilità del resistente. In entrambi i casi, il tribunale dovrà fissare un termine per l’adesione.
Tra le
altre novità che la legge prevede vi sono: un regime probatorio tale da offrire al
giudice la possibilità di avvalersi di
dati statistici e di presunzioni semplici, nonché di
poteri istruttori rafforzati, funzionali all’accertamento dei fatti costitutivi del diritto azionato (ad esempio, possibilità di applicare una sanzione amministrativa pecuniaria alla parte che, senza giustificato motivo, non adempie all’ordine di
esibizione documentale); la possibilità per le parti di concludere
accordi transattivi; un ampio ricorso alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione a fini di
pubblicità della procedura; l’introduzione del c.d. compenso di “quota lite”.
La “
quota lite” consiste in un compenso che l’impresa o l’ente convenuto in giudizio, in caso di
soccombenza, è tenuto a corrispondere a coloro che svolgono la funzione di
rappresentante della classe ed ai legali del ricorrente, in aggiunta alla somma dovuta a ciascun aderente a titolo risarcitorio. L’ammontare di questa somma dovrà essere calcolato come una percentuale rispetto all’importo complessivo che il soccombente dovrà pagare a tutti gli aderenti a titolo di risarcimento, tale percentuale è inversamente proporzionale al numero dei componenti della classe (dunque, cala al loro aumentare).
È stata inoltre prevista la possibilità, per “chiunque vi abbia interesse”, di esperire, accanto alla
class action, un'
azione inibitoria collettiva (art.
840 sexiesdecies c.p.c.) nei confronti di chi pone in essere condotte pregiudizievoli per una pluralità di individui o enti: sarà, infatti, possibile agire per ottenere una pronuncia del giudice che ordini a imprese o enti gestori di servizi di pubblica utilità la cessazione o il divieto di reiterare una condotta commissiva od omissiva realizzata nello svolgimento delle loro attività.
Originariamente la riforma sarebbe dovuta entrare in vigore il 19 aprile 2020, ma l’art. 8 del D.L. n. 162/2019 (c.d. Milleproroghe) ha posticipato tale data al 19 novembre 2020.