Qualora un detenuto si trovasse in tali condizioni, quindi, il trattamento si dovrebbe considerare inumano o degradante ed egli sarebbe legittimato a proporre reclamo ai sensi dell’art. 35 della Legge sull’ordinamento penitenziario nonché ad ottenere il risarcimento del danno.
Ma quali sono, concretamente, gli spazi minimi che devono essere garantiti a ciascun detenuto perché l’art. 3 CEDU possa dirsi rispettato? Nel calcolo di tali spazi vanno o meno considerati i mobili presenti all’interno della cella? La Corte di Cassazione, con sentenza n. 18681 del 11 maggio 2022, ha operato una ricognizione degli approdi giurisprudenziali raggiunti sul punto, fornendo una chiara risposta ai quesiti sopra formulati.
La Suprema Corte, infatti, nel provvedimento citato ha:
- richiamato le pronunce della Corte Edu (tra le quali cfr. Music c. Croazia) per le quali, affinchè lo Stato non incorra nella violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, lo spazio individuale minimo da assicurare ad ogni detenuto è di tre metri quadrati. Per calcolare lo spazio, segnatamente, i giudici di Strasburgo ritengono che "l'importante è determinare se i detenuti hanno la possibilità di muoversi normalmente nella cella" e che il calcolo della superficie disponibile nella cella deve includere lo spazio occupato dai mobili;
- richiamato la pronuncia delle Sez. Un. c. d. Commisso n. 6551/2021, le quali hanno ulteriormente precisato che, nella valutazione dello spazio individuale minimo, si deve avere riguardo alla superficie che assicura il normale movimento nella cella e, pertanto, vanno detratti gli arredi tendenzialmente fissi al suolo, tra cui rientrano i letti a castello. Per le Sezioni Unite, invero, “la superficie destinata al movimento nella cella è limitata dalle pareti nonchè dagli arredi che non si possono in alcun modo spostare e che, quindi, fungono da parete o costituiscono uno spazio inaccessibile”;
- rilevato che la lettura delle Sezioni Unite Commisso è suffragata dall'etimologia del sostantivo della lingua italiana "mobile", cui corrisponde quello della lingua francese "meuble", utilizzata dalla Corte EDU e che indica un oggetto che può essere spostato;
- concluso che – al pari del letto a castello, in relazione al quale si erano pronunciate le Sezioni Unte – anche il letto singolo, nel caso in cui sia ancorato al suolo, non è da considerarsi un mobile in quanto i detenuti all'interno della cella non possono utilizzare lo spazio dallo stesso occupato per camminare e per spostarsi.
Il caso di specie, in particolare, vedeva come protagonista un soggetto che aveva chiesto il risarcimento del danno per essere stato collocato, finchè era detenuto in carcere, in una cella con uno spazio vivibile inferiore ai 3 metri quadri, con limitate possibilità di uscire dalla stessa.
Il Giudice di sorveglianza, quindi, aveva riconosciuto a questo soggetto il risarcimento.
Il Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria aveva quindi proposto reclamo avverso tale decisione, ma il Tribunale di Sorveglianza lo aveva rigettato.
Il Ministero, pertanto, aveva proposto ricorso in Cassazione, dolendosi dell’erronea applicazione dell’art. 35 ord. pen. come interpretato dalla Corte Edu, con riferimento ai criteri di calcolo della superficie detentiva media goduta dal detenuto.
Annullando con rinvio l’ordinanza impugnata, la Cassazione ha dunque operato le importanti precisazioni esaminate sul tema.