- acquisire rapporti di clientela a mezzo di agenzie o procacciatori o con modi non conformi a correttezza e decoro;
- offrire o corrispondere a colleghi o a terzi provvigioni o altri compensi quale corrispettivo per la presentazione di un cliente o per l’ottenimento di incarichi professionali;
- offrire omaggi o prestazioni a terzi ovvero la corresponsione o la promessa di vantaggi per ottenere difese o incarichi;
- offrire, senza esserne richiesto, una prestazione personalizzata e, cioè, rivolta a una persona determinata per uno specifico affare;
- offrire, sia direttamente che per interposta persona, le proprie prestazioni professionali al domicilio degli utenti, nei luoghi di lavoro, di riposo, di svago e, in generale, in luoghi pubblici o aperti al pubblico.
A tali riguardi, nello specifico, la Suprema Corte ha affermato che nelle circostanze anzidette trova piena concretizzazione l'accaparramento di clientela, posto che “è indubbia la natura professionale della prestazione che verrebbe svolta dall'avvocato, una volta sottoscritto il modulo”. A nulla rileva, infatti, che la nomina non sia volta alla costituzione in giudizio: anche la presentazione di una denuncia da parte dell'avvocato acquista sicuramente natura di prestazione professionale.
Sul punto, il Collegio richiama quanto previsto dall’art. 1 L. n. 247 del 2012, co. 5 e 6, e cioè che costituisce modalità di esplicazione della professione non solo l’attività esclusiva dell'avvocato (assistenza, rappresentanza e difesa in giudizio) ma anche l'attività professionale di assistenza legale stragiudiziale, alla quale può ricondursi la redazione di un esposto.
Il caso concretamente giunto al vaglio della Cassazione, in particolare, vedeva come protagonista un avvocato che aveva reso disponibile sul sito web di un comitato ambientalista il modulo di nomina a difensore per la denuncia all'autorità giudiziaria, modulo che gli utenti potevano scaricare, sottoscrivere e inviare allo stesso. L’avvocato, successivamente, sottoscriveva la nomina per autentica senza avere alcuna evidenza della autografia del sottoscrittore.
In relazione a tale condotta, era dunque stato presentato un esposto presentato innanzi al competente Consiglio dell'Ordine degli Avvocati ed era stato aperto un procedimento disciplinare nei confronti dell'avvocato per varie violazioni del codice deontologico: il C.D.D., ritenuto l’avvocato responsabile di accaparramento di clientela, aveva dunque irrogato la sanzione dell'avvertimento.
Avverso detta decisione, l'avvocato aveva allora proposto ricorso, il quale era tuttavia stato rigettato dal Consiglio Nazionale Forense, secondo cui la pubblicazione online del modulo costitutiva un'offerta al pubblico delle prestazioni professionali di avvocato, tale da configurare violazione dell'art. 37, comma 4, del Codice deontologico forense.
L’avvocato aveva dunque presentato ricorso per Cassazione, lamentandosi – limitatamente gli aspetti qui di rilievo – della violazione dell’artt. 37 Cod. deont.: nel rigettare tale impugnazione, la Cassazione ha dunque operato le importanti precisazioni sopra esaminate in relazione all’accaparramento di clientela.