Potrebbe sembrare pienamente legittimo ai “non addetti ai lavori” che chi abbia preso in affitto un immobile e si sia successivamente accorto della sussistenza di difetti di costruzione o di manutenzione, decida di autoridursi il canone di affitto pattuito, in modo da “compensare” il fatto di dover sopportare di abitare in un immobile che presenta dei i vizi.
Tuttavia, questa soluzione non è conforme alla legge.
Va osservato, infatti, che le sentenze della Corte di Cassazione sono costanti nel ritenere che non è assolutamente possibile per il locatario dell’immobile, autoridurre la misura del canone di locazione contrattualmente stabilita, e ciò indipendentemente dal fatto che l’immobile sia adibito ad uso abitativo o non abitativo.
Il locatario, quindi, è tenuto a versare l’intero importo del canone pattuito, potendo sollevare eventuali contestazioni solo davanti al giudice, attraverso la richiesta di (I) risoluzione del contratto (che farebbe venir meno il contratto di locazione) o di (II) riduzione del canone di locazione.
Solo in questo modo, infatti, viene data la possibilità anche al locatore di opporsi, dimostrando, per esempio, che il locatario era a conoscenza (o, comunque, poteva facilmente accorgersi) della presenza dei vizi al momento della stipula del contratto.
In proposito, infatti, l’art. 1578 del c.c. è chiaro nel prevedere che “se al momento della consegna la cosa locata è affetta da vizi che ne diminuiscono in modo apprezzabile l’idoneità all’uso pattuito, il conduttore può domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, salvo che si tratti di vizi da lui conosciuti o facilmente riconoscibili”.
La norma prosegue, poi, precisando che il locatario può ottenere, altresì, il risarcimento dei danni derivati dai vizi del bene, salvo che il locatore riesca a provare “di avere, senza colpa, ignorato i vizi stessi al momento della consegna”.
In particolare, nel caso all’esame della Corte, il locatario aveva giustificato l’autoriduzione del canone di locazione in quanto erano presenti “gravi vizi strutturali dell’immobile, che lo rendevano del tutto inidoneo all’uso pattuito”, con la conseguenza che “il contratto di locazione avrebbe dovuto essere addirittura ritenuto nullo, con conseguente legittimità del mancato pagamento del canone”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, ha chiarito (confermando, come detto, il suo consolidato orientamento in materia) come “la cosiddetta autoriduzione del canone – e, cioè, il pagamento di questo in misura inferiore a quella convenzionalmente stabilita, costituisce fatto arbitrario ed illegittimo del conduttore, che provoca il venir meno dell’equilibrio sinallagmatico del negozio, anche nell’ipotesi in cui detta autoriduzione sia stata effettuata dal conduttore in riferimento al canone dovuto a norma dell’art. 1578 del c.c. co. 1, per ripristinare l’equilibrio del contratto, turbato dall’inadempimento del locatore e consistendo nei vizi della cosa locata” (Cass. civ. 7636/2016).
Allo stesso modo, anche nell’ipotesi in cui il locatario abbia anticipato di proprio pugno le spese necessarie per operazioni di manutenzione straordinaria ed urgente, che il locatore non aveva, invece, voluto sostenere, egli non potrà semplicemente ridurre l’importo del canone di locazione, fino a compensare il relativo esborso.
Il conduttore, dovrà, invece, tutelarsi in via giudiziale, attraverso la notifica di un ricorso per decreto ingiuntivo, al fine di ottenere la restituzione delle somme pagate.
L’unico caso in cui al conduttore è concessa la possibilità di sospendere il pagamento del canone, infatti, è quello in cui l’immobile risulti completamente inutilizzabile a causa dei difetti riscontrati: solo in questo caso, infatti, viene completamente a mancare il c.d. sinallagma contrattuale, ovvero l’equilibrio tra le posizioni dei contraenti, in quanto il conduttore si troverebbe a pagare una somma periodica senza che il locatore adempia in alcun modo alla propria prestazione contrattualmente stabilita.