Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Napoli aveva confermato la sentenza di primo grado che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato ad un lavoratore dipendente di una società, licenziato per la condotta tenuta dal lavoratore nel corso di un’assemblea sindacale.
Il lavoratore, in particolare, avrebbe aggredito verbalmente un altro lavoratore, offendendo anche la famiglia di questi.
La Corte d’appello, tuttavia, riteneva che tale condotta avesse scarsa potenzialità offensiva, con la conseguenza che la stessa non avrebbe potuto essere addotta a giustificazione di un licenziamento.
Infatti, tale comportamento non integrava la fattispecie di cui all’art. 55 del Contratto collettivo di categoria, “mancando la grave turbativa alla vita aziendale”.
La Corte d’appello, dunque, riteneva che “il comportamento complessivamente valutato non era idoneo ad integrare la giusta causa di licenziamento, non potendosi ritenere venuto meno l’elemento fiduciario alla base del rapporto di lavoro e la sanzione espulsiva adottata nei confronti del dipendente non poteva ritenersi proporzionata ai fatti al medesimo contestati”.
Tale sentenza, considerata ingiusta da parte della società datrice di lavoro, fu oggetto di ricorso per Cassazione; ciò che si andava evidenziando era la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2119 del c.c. e dell’art. 3 della legge n. 604 del 1966, in quanto la Corte d’appello non avrebbe adeguatamente valutato gli elementi oggettivi e soggettivi della condotta tenuta dal lavoratore.
Secondo la ricorrente, la Corte d'appello non avrebbe tenuto in considerazione che il lavoratore aveva tenuto in più occasioni comportamenti simili e che non vi era stata alcuna provocazione da parte della vittima dell’aggressione verbale. Inoltre, nel corso dell’assemblea, non vi fu affatto un clima di tensione.
La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover aderire alle argomentazioni svolte dalla ricorrente.
Secondo il giudici di terzo grado, la Corte d’appello avrebbe errato nel non tenere in considerazione i precedenti disciplinari del lavoratore, dal momento che si era concentrata solo “sul disvalore di ciascun precedente disciplinare, invece che correttamente attenersi a considerare la loro incidenza sulla connotazione di gravità dei due addebiti contestati”.
La Corte d’appello, inoltre, avrebbe dovuto tener conto “del grado di affidamento richiesto dalle mansioni svolte dal dipendente (responsabile della produzione di tutto lo stabilimento), nonché del profilo apicale attribuito (livello A1), considerato, altresì, il tono alto di voce usato dal (…) nell’ambito del contesto ambientale (percepito al piano inferiore dello stabile) e la scarsa pertinenza del contenuto delle frasi proferite rispetto al luogo e all’oggetto della riunione sindacale”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dalla società datrice di lavoro, annullando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’appello, affinchè la medesima decidesse nuovamente sulla questione, in base ai principi sopra esposti.