Cass. civ. n. 4698/2011
In tema di concordato fallimentare, non compete al giudice delegato, nella sede della verifica dell'esecuzione dello stesso ai sensi dell'art. 136 legge fall., il potere di ordinare la cancellazione delle ipoteche iscritte sui beni del fallito in data anteriore al fallimento ed a vantaggio di creditori del fallito, da un lato riferendosi la predetta norma alle sole ipoteche iscritte da terzi a garanzia dell'esecuzione del concordato e, dall'altro, non potendosi applicare l'art. 586, primo comma, c.p.c. (cui rinvia l'art. 105 legge fall.), trattandosi di norma sulla espropriazione forzata non richiamata dalla disciplina del procedimento concordatario né applicabile in via analogica; la predetta cancellazione, inoltre, confligge con la norma generale in materia d'ipoteca che, all'art. 2878, n. 3, c.c., prevede che l'estinzione della stessa consegua dall'estinzione dell'obbligazione che essa garantisce.
Cass. civ. n. 3921/2009
E inammissibile il ricorso per cassazione proposto ex art. 111 Cost. avverso il decreto del tribunale fallimentare che, in sede di esecuzione del concordato fallimentare, si sia pronunciato su di una questione attinente alla misura di un credito da soddisfare, in quanto tale provvedimento, non potendo avere ad oggetto questioni decise con la sentenza di omologazione, le quali devono trovare la loro soluzione in sede contenziosa nelle forme ordinarie, non è idoneo a pregiudicare in modo definitivo e con carattere decisorio i diritti soggettivi delle parti. (Principio reso dalla S.C. con riguardo al decreto del tribunale, emesso su reclamo avverso il piano di riparto depositato dal curatore ed attributivo al ricorrente soltanto della percentuale concordataria, anziché dell'intero importo del credito vantato, avendo il creditore ricorrente dedotto che erroneamente il proprio voto favorevole era stato interpretato come rinunzia al privilegio).
Cass. civ. n. 10634/2007
La legittimazione attiva all'azione di ripetizione di indebito compete al soggetto cui è legalmente riferibile il pagamento, anche se l'incaricato della relativa operazione sia un suo rappresentante o nuncius. Pertanto, la legittimazione attiva alla ripetizione dei pagamenti effettuati in eccedenza dal curatore nel corso della liquidazione postconcordataria deve essere riconosciuta all'ex fallito che, con il passaggio in giudicato della sentenza di omologazione del concordato fallimentare comportante la chiusura del fallimento, viene reintegrato nell'amministrazione e disponibilità del suo patrimonio e da quel momento è l'unico titolare dell'obbligazione concordataria, tenuto come tale al suo adempimento, restando il curatore in carica solo al fine di sorvegliare, unitamente al giudice delegato e al comitato dei creditori, l'adempimento delle obbligazioni concordatarie, secondo le modalità stabilite dalla sentenza di omologazione; qualora, invece, il tribunale o il giudice delegato, fissando le modalità di pagamento delle somme dovute ai creditori, abbiano stabilito che a tanto provveda materialmente il curatore, questi diviene per tale incombente un rappresentante ex lege senza poteri, del fallito tornato in bonis o comunque un adiectus solutionis causa del fallito medesimo, cui oggettivamente fanno capo gli effetti dell'attività dell'organo concorsuale.
Cass. civ. n. 2991/2006
Nel caso di concordato fallimentare con assuntore, senza liberazione immediata del fallito, quest'ultimo è abilitato a contestare, dopo l'omologazione e il conseguente suo ritorno in bonis il provvedimento contrario a legge degli organi fallimentari che determina un debito di massa, sia perché egli potrebbe essere chiamato a risponderne personalmente, sia in considerazione del rischio, connesso all'incremento del passivo, di una eventuale risoluzione del concordato, con conseguente riapertura della procedura fallimentare; tuttavia tali ipotesi non sono configurabili nel caso in cui il concordato sia stato integralmente adempiuto e il debito in questione sia stato soddisfatto mediante impiego delle somme liquide già disponibili nell'attivo fallimentare, sicché, per un verso, non si configura, in concreto, il rischio che il fallito possa essere chiamato a rispondere del debito in parola e trovarsi esposto alla risoluzione del concordato, per altro verso nessun beneficio egli ricaverebbe dall'accoglimento dell'impugnativa, dato che il pagamento è andato ad incidere, in negativo, sul patrimonio trasferito agli assuntori, rimanendo in pari tempo esclusa ogni possibilità di regresso degli assuntori nei suoi confronti, avendo egli, tramite la programmata integrale cessione a questi ultimi delle attività fallimentari, adempiuto i propri obblighi verso gli assuntori medesimi. (Nella fattispecie la S.C. ha quindi dichiarato inammissibile, per difetto di interesse, il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. proposto dal fallito avverso il decreto del tribunale di liquidazione del compenso del curatore).
Cass. civ. n. 1983/2003
Il provvedimento del giudice delegato che inviti la società garante di una proposta di concordato fallimentare a depositare presso un istituto di credito una somma di denaro necessaria per l'esecuzione del concordato stesso è espressione del potere ordinatorio del giudice in ordine alla gestione del patrimonio fallimentare, il cui esercizio dà luogo ad atti privi dei caratteri di definitività e di decisorietà. Pertanto, contro tale provvedimento è dato il rimedio del reclamo al tribunale ex art. 26 della legge fall., mentre è inammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111 della Costituzione avverso il decreto che decide sul reclamo, in quanto anche quest'ultimo provvedimento è privo dei caratteri di decisorietà e definitività.