Il bene giuridico oggetto di tutela è l'
inviolabilità del rapporto di corrispondenza, rappresentato dalla libertà di comunicare con terzi per lettera e dalla libertà di celare, a coloro che non siano destinatari, il contenuto della comunicazione, a prescindere dalla natura segreta o meno della stessa. Trattasi di
reato proprio, in quanto può essere commesso solamente dall'addetto al servizio delle poste, e di
figura autonoma di reato (e non quindi
circostanza aggravante dell'art.
616.
Le condotte punibili sono tre:
-
il prendere cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa, diretta ad altri;
-
il sottrarre o il distrarre corrispondenza al fine di averne o farne prendere conoscenza;
-
la distruzione o la soppressione della corrispondenza altrui.
La comunicazione deve avere carattere
attuale e personale. Il decorso del tempo, che renda la comunicazione inattuale e le faccia avere un valore storico-affettivo, comporta il venir meno del requisito. Per avere il requisito della
personalità è invece sufficiente che sia indicato il
destinatario, non anche il
mittente.
Qualora il colpevole, oltre a prendere
abusivamente cognizione della corrispondenza altrui, ne riveli anche in tutto o in parte il contenuto, senza giusta causa, è punito più severamente ai sensi del comma due.
///SPIEGAZIONE ESTESA
La norma in esame punisce l’
addetto al
servizio delle
poste, dei
telegrafi o dei
telefoni, il quale, sapendo di
abusare della propria
qualità, prenda
cognizione del contenuto dell’
altrui corrispondenza chiusa, oppure la
sottragga o la
distragga, al fine di prenderne o di farne prendere da altri
cognizione, o, ancora, la
distrugga o la
sopprima, in tutto o in parte.
Si tratta di un
reato proprio, il quale punisce il caso in cui la condotta delineata dalla prima parte dell’
art. 616 del c.p. sia posta in essere da un addetto al servizio delle poste, dei telegrafi o dei telefoni, che abbia abusato della propria qualità per commettere il fatto.
Detti soggetti sono, infatti, considerati dei
pubblici ufficiali o, comunque, degli incaricati di
pubblico servizio, in relazione alle loro funzioni.
Elemento
essenziale per la configurabilità del
delitto in esame è, dunque, l’
abuso della propria
qualità da parte dall’
agente.
Non è, quindi, necessario un vero e proprio
abuso dei poteri inerenti alla funzione o al servizio da esso svolto, essendo
sufficiente che la
qualità dell’agente
agevoli il
fatto criminoso, senza che vi sia un contemporaneo esercizio delle funzioni relative alla qualità stessa.
La
condotta tipica, al pari di quanto richiesto dall’art.
616 c.p., può consistere, innanzitutto, negli atti con cui l’agente prenda
cognizione dell’altrui
corrispondenza chiusa, ossia negli atti con cui quest’ultima, in corso di spedizione o di recapito al destinatario, venga
aperta e
letta, in tutto o soltanto in parte, ma, pur sempre, in modo idoneo a conoscerne il contenuto sostanziale.
La condotta può, però, consistere anche negli atti con cui il soggetto attivo
distragga la corrispondenza, chiusa o aperta, a lui non diretta, al
fine di prenderne o farne prendere da altri
cognizione.
Integra, infine, il delitto in esame, la condotta di chi
distrugga o
sopprima, in tutto o in parte, la corrispondenza diretta ad un terzo.
È, peraltro, opportuno precisare che si ha
“sottrazione” quando la corrispondenza viene spostata definitivamente dal luogo in cui si trova, senza essere soppressa o distrutta; mentre si ha
“distrazione” qualora la stessa venga trattenuta temporaneamente, oppure sia sviata dal suo corso normale, senza essere sottratta, distrutta o soppressa. La corrispondenza si considera, poi,
“distrutta”, nel caso in cui sia totalmente danneggiata, in modo tale da farne venir meno la precedente materialità; mentre è
“soppressa”, qualora ne venga deviato il corso, così da impedire che possa giungere a destinazione.
Oggetto materiale del reato è la
cosa in cui si trovi
incorporata la
corrispondenza altrui, sia essa di natura epistolare, telegrafica, informatica, telematica o telefonica. Si considera, infatti,
“corrispondenza”, ogni comunicazione personale che un soggetto determinato faccia ad un altro, al fine di fargli conoscere il suo pensiero,
qualunque sia il
mezzo usato a tale scopo, sia esso di natura epistolare, telegrafica, telefonica, informatica o telematica, come, peraltro, precisato dal comma 4 dell’art.
616 c.p.
L’
evento tipico, il quale coincide con il
momento consumativo del delitto in esame, è rappresentato, alternativamente, dalla
conoscenza del
contenuto della corrispondenza da parte dell’agente, oppure dalla modificazione dello stato esteriore della corrispondenza stessa, che si concretizza nella sua
sottrazione,
distrazione,
distruzione o
soppressione.
Il
tentativo è
possibile nel caso in cui, malgrado l’idoneità e la non equivocità degli atti posti in essere dall’agente, non si verifichi l’evento, per ragioni indipendenti dalla sua volontà.
Qualora le corrispondenze violate dalla condotta dell’agente siano più di una, ma i loro mittenti e destinatari siano diversi, si ha un
concorso di reati anche nel caso in cui vi sia un contesto di azione.
L’
elemento psicologico è dato, di norma, dalla
volontà del
fatto e dalla
consapevolezza, dell’agente, di
abusare della propria
qualità. Qualora, però, la condotta criminosa consista nella
distrazione o nella
sottrazione dell'altrui corrispondenza, è necessario che sussista il
dolo specifico, ossia la coscienza e la volontà di sottrarre o distrarre illegittimamente la corrispondenza altrui, con il fine di prenderne o di farne prendere conoscenza da altri.
Di norma, il delitto in esame è punibile a
querela di parte, fatta
eccezione per il caso in cui si verifichi l’ipotesi
aggravata di cui al comma 2, ossia qualora l’agente, senza giusta causa,
riveli, in tutto o in parte, il contenuto dell’altrui corrispondenza, se, però, il fatto non costituisce un reato più grave.
///FINE SPIEGAZIONE ESTESA