Cass. pen. n. 41044/2015
In materia religiosa, la critica è lecita quando - sulla base di dati o di rilievi già in precedenza raccolti o enunciati - si traduca nella espressione motivata e consapevole di un apprezzamento diverso e talora antitetico, risultante da una indagine condotta, con serenità di metodo, da persona fornita delle necessarie attitudini e di adeguata preparazione, mentre trasmoda in vilipendio quando - attraverso un giudizio sommario e gratuito - manifesti un atteggiamento di disprezzo verso la religione cattolica, disconoscendo alla istituzione e alle sue essenziali componenti (dogmi e riti) le ragioni di valore e di pregio ad essa riconosciute dalla comunità, e diventi una mera offesa fine a se stessa. (Nella fattispecie, la S.C. ha ritenuto corretta la valutazione del giudice di merito che aveva ravvisato il reato di cui all'art. 403 cod. pen. nella condotta di imputato il quale aveva realizzato ed esposto nel centro di Milano un trittico raffigurante il Papa ed il suo segretario personale accostati ad un pene con testicoli con la didascalia "Chi di voi non è culo scagli la prima pietra").
Cass. pen. n. 10535/2009
Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 403 cod. pen. (offese ad una confessione religiosa dello Stato mediante vilipendio di persone) non occorre che le espressioni offensive siano rivolte a fedeli ben determinati, ma è sufficiente che le stesse siano genericamente riferibili alla indistinta generalità degli aderenti alla confessione religiosa. (In motivazione la Corte, nell'enunciare il predetto principio, ha precisato che la norma protegge il sentimento religioso di per sè, sanzionando le pubbliche offese verso lo stesso, attuate mediante vilipendio dei fedeli di una confessione religiosa o dei suoi ministri).
Cass. pen. n. 12261/1987
Il reato di offese alla religione dello Stato mediante vilipendio di persone, di cui all'art. 403 c.p., non può assolutamente dirsi abrogato dal nuovo concordato tra lo Stato italiano e la Santa Sede per il fatto che le altre parti abbiano concordemente ritenuto che la religione cattolica apostolica romana non è più la religione dello Stato, ma libera religione al pari degli altri culti ammessi nello Stato medesimo. Ciò perché, anche se tale reato risale ad un tempo in cui diverso era il contesto sociale e politico, non può affermarsi, solo per quanto sopra detto, che lo Stato non accordi più, alla religione della stragrande maggioranza degli italiani, quella protezione che, per effetto del successivo art. 406 c.p. (delitti contro i culti ammessi nello Stato), tuttora accorda agli altri culti ammessi, di minore diffusione. Inoltre può rilevarsi, con richiamo al principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, che la minor pena prevista per chi pubblicamente offende un culto diverso dalla religione cattolica non lede tale principio, ma rientra nel potere insindacabile e discrezionale del legislatore e trova comunque giustificazione nella maggior diffusione di quella religione rispetto al primo.