I
delitti contro la personalità dello Stato si caratterizzano per una
forte anticipazione della tutela penale, considerata a volte al limite con il principio di necessaria offensività del fatto di reato (v. art.
49), necessario presupposto ai fini della rimproverabilità del soggetto agente.
Trattasi infatti spesso di condotte per le quali viene dato rilievo anche ad attività meramente preparatorie, allorché corroborate da peculiari atteggiamenti soggettivi.
Per la maggior parte dei reati previsti in questo capo è infatti
non configurabile il tentativo (art.
56).
La norma in esame rappresenta un'ipotesi di
reato di pericolo, essendo bastevole l'attitudine degli atti a produrre uno degli effetti previsti dalla norma, non occorrendo che essi si realizzino determinando un evento inteso in senso naturalistico.
Per quanto riguarda l'altro
elemento costitutivo del reato, ovvero la
violenza, essa va suddivisa in
propria ed impropria. Per quest'ultima va intesa quando si utilizza un qualsiasi mezzo idoneo a coartare la volontà del soggetto passivo, annullandone la capacità di azione o determinazione. Per violenza
propria, si intende invece l'impiego di energia fisica sulle persone o sulle cose, esercitata direttamente o per mezzo di uno strumento.
Essendo qui soggetti passivi sia organi di Governo che la persona del
Presidente della Repubblica, entrambe le forme di violenza rilevano ai fini della configurabilità del delitto in esame.
Per quanto riguarda il Capo dello Stato, la differenza rispetto all'art.
277 sta nel fatto che qui è richiesto il
dolo specifico di compiere atti violenti al fine di impedirgli di svolgere le sue funzioni istituzionali, mentre l'art. 277 c.p. è più che altro diretto a tutelare l'
integrità fisica del Presidente.
Il
bene giuridico oggetto di tutela è dunque il libero svolgimento, da parte dei più importanti organi costituzionali e regionali, delle proprie funzioni e prerogative.