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Articolo 241 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/10/2024]

Attentati contro la integrità, l'indipendenza e l'unità dello Stato

Dispositivo dell'art. 241 Codice Penale

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti violenti diretti e idonei a sottoporre il territorio dello Stato [4 2] o una parte di esso alla sovranità di uno Stato straniero, ovvero a menomare l'indipendenza o l'unità dello Stato, è punito con la reclusione non inferiore a dodici anni(1).

La pena è aggravata se il fatto è commesso con violazione dei doveri inerenti l'esercizio di funzioni pubbliche.

Note

(1) Si tratta di reato di attentato, che in quanto tale non richiede per la punibilità il verificarsi degli eventi indicati. In origine presentava la struttura tipica dell'attentato quale reato a consumazione anticipata caratterizzato dal compimento di fatti diretti alla realizzazione di risultati dannosi. Oggi, a seguito della riforma avvenuta con legge 24 febbraio 2006, n. 85 la condotta si concentra sul compimento di atti violenti diretti e idonei, rendendo quindi necessario un accadimento casualmente idoneo a produrre uno degli eventi indicati nella norma.

Ratio Legis

Tale reato rappresenta la più grave fattispecie contro la personalità dello Stato, di conseguenza la ratio dello stesso si ravvisa nell'esigenza di tutelare il bene giuridico dell'integrità del territorio, la sua indipendenza ed unità.

Brocardi

Crimen maiestatis

Spiegazione dell'art. 241 Codice Penale

I delitti contro la personalità dello Stato si caratterizzano per una forte anticipazione della tutela penale, considerata a volte al limite con il principio di necessaria offensività del fatto di reato (v. art. 49), necessario presupposto ai fini della rimproverabilità del soggetto agente.

Trattasi infatti spesso di condotte per le quali viene dato rilievo anche ad attività meramente preparatorie, allorché corroborate da peculiari atteggiamenti soggettivi.
Per la maggior parte dei reati previsti in questo capo è infatti non configurabile il tentativo (art. 56).

La norma in esame rispecchia infatti di per sé la ricostruzione del tentativo, disciplinando e punendo la commissione di atti violenti diretti ed idonei a sottoporre il territorio dello Stato o una parte di esso alla sovranità di uno Stato straniero, ovvero a menomare l'indipendenza o l'unità dello Stato.

È quindi assente la previsione di un evento di reato in senso naturalistico, prevedendosi la punibilità di atti che solamente mettano in pericolo il bene giuridico tutelato dalla norma, rappresentato dall'integrità dello Stato, dalla sua indipendenza ed unità.

Ad ogni modo, il requisito dell'idoneità implica un necessario accertamento da parte del giudice circa il pericolo concreto che la condotta ha causato nei confronti del bene giuridico, sicché il requisito dell'idoneità va valutato secondo il procedimento della prognosi postuma ex ante a base totale o parziale.

Per quanto riguarda l'altro elemento costitutivo del reato, ovvero la violenza, essa va suddivisa in propria ed impropria. Per quest'ultima va intesa quando si utilizza un qualsiasi mezzo idoneo a coartare la volontà del soggetto passivo, annullandone la capacità di azione o determinazione. Per violenza propria, si intende invece l'impiego di energia fisica sulle persone o sulle cose, esercitata direttamente o per mezzo di uno strumento.

Dato che il soggetto passivo è qui lo Stato, si esclude la rilevanza della violenza impropria, non potendosi “coartare” lo Stato. La violenza propria qui intesa si configura dunque come mera modalità di condotta, non definita in base alla capacità di coartazione del soggetto passivo.

Il delitto si ritiene consumato quando l'agente abbia posto in essere il fatto diretto ed idoneo a realizzare gli eventi descritti.

Come sopra accennato, il tentativo non è configurabile, arretrandosi altrimenti in maniera eccessiva la soglia di punibilità.

La norma presenta una clausola di sussidiarietà, che esclude l'applicazione della presente norma qualora la condotta configuri un reato più grave, che, oltre a ledere il bene giuridico in oggetto, arrechi altresì un'offesa ad altri beni giuridici oppure rappresenti essa stessa un grado di lesività maggiore (ad es. ex art. 284.

Massime relative all'art. 241 Codice Penale

Cass. pen. n. 1059/1994

Il denunciante che non sia anche persona offesa dal reato non ha diritto di essere informato della richiesta di archiviazione e non è, pertanto, legittimato a proporre ricorso per cassazione nel caso di omesso avviso della richiesta. (Fattispecie in tema di attentato all'integrità dello Stato).

Cass. pen. n. 1/1970

Il delitto di attentato contro l'integrità dello Stato, enunciato dalla legge nella ipotesi astratta di «un fatto diretto a sottoporre il territorio dello Stato o una parte di esso alla sovranità di uno Stato straniero» (art. 241 c.p.), si concreta, nelle sue condizioni necessarie e sufficienti, quando il fatto commesso dall'agente, per la sua natura, le sue caratteristiche, la sua sintomaticità, sia espressione di un tale agire (non inidoneo) da potersi considerare, alla stregua dei canoni della logica valutativa delle azioni umane, come iniziazione d'opera ideata, messa in esecuzione di concepito progetto, passaggio dalla fase preparatoria alla fase esecutiva di efficiente programma avente per obiettivo ultimo il risultato della sottoposizione del territorio dello Stato o di una parte di esso alla sovranità di Stato straniero. Il delitto di attentato all'integrità dello Stato (art. 241 c.p.) è un reato di pericolo: più esattamente, in relazione alle esigenze strutturali del medesimo, esso può considerarsi un reato di pericolo con più successive e progressive situazioni di pericolo. La idoneità della condotta con cui si commette tale delitto (in relazione ai caratteri strutturali dello stesso ed in applicazione dei criteri con cui il giudizio di idoneità deve svolgere nei reati di pericolo) sussiste quando sia insorta, dall'azione del reo, quella situazione dalla quale può darsi che, anche col concorso di altri fattori imprevisti ed eventuali ma possibili, si svolga un processo di attività conducente all'evento del danno. Ciò significa che il giudizio di idoneità coincide esattamente con il giudizio di tipicità: il dire che il fatto concreto all'esame del giudice è un attacco incipiente all'integrità dello Stato vale a dire che esso è idoneo e viceversa. Il requisito della idoneità, necessario per ogni reato a norma dell'art. 49 c.p. deve ritenersi realizzato all'esito positivo del giudizio di «non inidoneità» del quod actum, prescindendo dal quesito se il quod actum era per se stesso capace della conseguenza della disintegrazione dello Stato. Non è rilevante, pertanto, per concretare la idoneità dell'azione nel delitto in esame, la questione sulla necessità che il fatto di condotta sia idoneo nel senso della probabilità e la distinzione fra idoneità potenziale ed idoneità attitudinale; ciò che basta è che si tratti di una iniziativa non inidonea (ad es. un'azione priva di precedente preparazione o sconnessa dal programma o sviata o velleitaria o inutile o fallace). In particolare, per assegnare al fatto concreto oggetto del giudizio la qualifica di fatto diretto a sottoporre il territorio», cioè perché nel fatto concreto all'esame del giudice si realizzi il giudizio di tipicità che coincide col giudizio di idoneità di un agire umano a creare una situazione di pericolo per l'integrità dello Stato, l'interprete deve rifarsi alla situazione di pericolo denotata dalle condizioni storiche e ambientali in cui l'iniziativa di attacco si compie.

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