La documentazione degli atti rappresenta una modalità con cui si conservano le tracce di un atto posto in essere nel corso del procedimento. Tale conservazione serve affinché si possa controllare la regolarità dell’atto ed averne memoria ai fini, soprattutto, delle eventuali successive impugnazioni e, nell’immediato, del giudizio di
primo grado.
Ciò che viene fatto oggetto di documentazione sono essenzialmente
dichiarazioni ed operazioni, e solo in tali ipotesi assume autonoma rilevanza, oltre all'attività volta a confezionare l'atto, l'attività volta a documentarne l'avvenuta confezione.
La norma in commento è frutto del principio secondo cui gli atti del procedimento, soprattutto quello del giudice, sono verbalizzati da persona diversa rispetto a quella che procede. Difatti,
il verbale viene redatto dall'ausiliario del giudice, di regola tramite stenotipia o altro strumento idoneo. Se l'ausiliario del giudice non possiede le necessarie competenze, il giudice lo autorizza a farsi assistere da apposito personale tecnico, anche proveniente da fuori l'amministrazione statale.
In passato, l'art. 135, comma 2 c.p.p. parlava di "stenotipia o altro strumento meccanico". Però, in linea con le modifiche apportate all'art. 134 c.p.p., la riforma Cartabia (d.lgs. n. 150/2022) ha eliminato, nell'art. 135 c.p.p., l'aggettivo "meccanico" e lo ha sostituito con l'espressione "idoneo": si è voluto collegare l'art. 135 al comma 2 dell'art. 134 c.p.p., il quale prevede che lo strumento utilizzato per la documentazione degli atti deve essere “idonea allo scopo”.
Quando rileva l'esigenza di avvalersi di personale tecnico estraneo all'
amministrazione dello Stato per la documentazione degli atti, l'autorità giudiziaria ne fa richiesta al Presidente della Corte di appello perché provveda alla scelta del personale idoneo e non più al al capo dell'
ufficio giudiziario, come previsto dall'art.
51 delle disp. att. del presente codice.