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Articolo 110 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447)

[Aggiornato al 30/11/2024]

Forma degli atti

Dispositivo dell'art. 110 Codice di procedura penale

1. Quando è richiesta la forma scritta, gli atti del procedimento penale sono redatti e conservati in forma di documento informatico, tale da assicurarne l'autenticità, l'integrità, la leggibilità, la reperibilità, l'interoperabilità e, ove previsto dalla legge, la segretezza(1).

2. Gli atti redatti in forma di documento informatico rispettano la normativa, anche regolamentare, concernente la redazione, la sottoscrizione, la conservazione, l'accesso, la trasmissione e la ricezione degli atti e dei documenti informatici.

3. La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli atti che, per loro natura o per specifiche esigenze processuali, non possono essere redatti in forma di documento informatico.

4. Gli atti redatti in forma di documento analogico sono convertiti senza ritardo in copia informatica ad opera dell'ufficio che li ha formati o ricevuti, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la redazione, la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione degli atti e dei documenti informatici(3) (4).

Note

***DIFFERENZE RISPETTO ALLA FORMULAZIONE PREVIGENTE***

(in verde le modifiche e in "[omissis]" le parti della norma non toccate dalla riforma)

1. Quando è richiesta la forma scritta, gli atti del procedimento penale sono redatti e conservati in forma di documento informatico, tale da assicurarne l'autenticità, l'integrità, la leggibilità, la reperibilità, l'interoperabilità e, ove previsto dalla legge, la segretezza.

2. Gli atti redatti in forma di documento informatico rispettano la normativa, anche regolamentare, concernente la redazione, la sottoscrizione, la conservazione, l'accesso, la trasmissione e la ricezione degli atti e dei documenti informatici.

3. La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli atti che, per loro natura o per specifiche esigenze processuali, non possono essere redatti in forma di documento informatico.

4. Gli atti redatti in forma di documento analogico sono convertiti senza ritardo in copia informatica ad opera dell'ufficio che li ha formati o ricevuti, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la redazione, la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione degli atti e dei documenti informatici.

(1) La disposizione si riferisce esclusivamente agli atti e non quindi anche ai documenti, intesi secondo l'accezione che ne fornisce il presente codice.
(2) L'uso di mezzi meccanici (dattilografia) e l'apposizione di segni diversi dalla scrittura, che renderebbero l'atto anonimo, vengono equiparati ad una mancata sottoscrizione.
(3) Articolo sostituito ex art. 6, co. 1, lett. a) del D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 (c.d. "Riforma Cartabia").

Ratio Legis

Un punto fondamentale della riforma Cartabia è la riduzione della durata del processo penale. Per raggiungere questo scopo, è indispensabile una digitalizzazione del processo: ossia, il passaggio dal processo cartaceo al processo telematico. Proprio nell'ottica di favorire la digitalizzazione del processo penale, la riforma Cartabia è intervenuta sulla norma in esame.

Spiegazione dell'art. 110 Codice di procedura penale

La riforma Cartabia (d.lgs. n. 150 del 2022) ha riformulato l’art. 110 c.p.p.: in origine, questa norma era dedicata anche alla sottoscrizione; invece, ora va a disciplinare la forma degli atti del procedimento penale.
La regola generale è la forma digitale (atto in forma di documento digitale), mentre l’eccezione è la forma analogica (atto in forma di documento analogico).

Come precisato dal d.lgs. n. 82 del 2005 (cd. codice dell’amministrazione digitale), il “documento informatico” è il documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti (ad es., redazione di uno scritto su file), mentre il “documento analogico” è la rappresentazione non informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti (ad es., in formato cartaceo).

Il nuovo comma 1 individua la modalità ordinaria di formazione dell’atto del procedimento penale: è la forma digitale. In particolare, quando è richiesta la forma scritta, l’atto viene redatto e conservato in forma di documento informativo.

Il legislatore non ha imposto un modello preciso, ma è ammessa ogni soluzione digitale purché essa assicuri i requisiti di autenticità, integrità, leggibilità, reperibilità, interoperatività e, se richiesto dalla legge, segretezza del nuovo modello di atto processuale. In particolare, ai sensi del nuovo comma 2, gli atti redatti in forma digitale devono rispettare la normativa, anche regolamentare, sulla redazione, sottoscrizione, conservazione, accesso, trasmissione e ricezione degli atti e dei documenti informatici.

Alla regola generale della forma digitale dell’atto ex comma 1, il nuovo comma 3 prevede una deroga: è consentita la modalità analogica quando esigenze contingenti e specifiche (ad es., impedimenti tecnici) o caratteristiche proprie dell’atto (ad es., una memoria redatta in un documento cartaceo da un imputato in stato di detenzione) non ne consentano la formazione digitale.
Però, il comma 4 precisa che, anche quando l’atto sia stato redatto con modalità analogiche, esso deve essere convertito, senza ritardo, in copia informatica da parte dell’ufficio che lo ha formato o ricevuto. Ciò per garantire, in ogni caso, l’unicità del fascicolo telematico.

Relazione al D.Lgs. 150/2022

(Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150: "Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari")

1 
Il novellato art. 110 c.p.p. individua, quale modalità generale di formazione di ogni atto del procedimento penale, quella digitale: si è inteso, in coerenza con quanto previsto dalla legge delega, consacrare un nuovo modello di atto processuale, i cui presupposti di legittimazione nel processo penale sono legati ad alcuni requisiti imprescindibili, ovvero quelli idonei ad assicurarne l’autenticità, l’integrità, la leggibilità, la reperibilità, l’interoperabilità e, ove previsto dalla legge, la segretezza. Vale, in questa ottica, una condizionata libertà di forme: ogni soluzione digitale percorribile è accettata, purché assicuri i requisiti prescritti dalla disposizione. Si prevede, infatti, il rispetto della normativa, in primo luogo sovranazionale (in particolare adottata a livello UE, quale il regolamento eIDAS 2014/910/UE), nonché nazionale, anche di rango regolamentare, concernente la redazione, la sottoscrizione, l’accesso, la trasmissione e la ricezione degli atti e dei documenti informatici. Si è inoltre previsto esplicitamente l’ulteriore requisito, strettamente legato alle dinamiche del processo penale, della idoneità dell’atto redatto come documento informatico a garantire la segretezza, per tutti i casi in cui questa sia prevista dalla legge.


Quanto all’incipit della nuova disposizione (“quando è richiesta la forma scritta gli atti del procedimento penale sono redatti e conservati in forma di documento informatico”) si è ritenuto che il termine “possono” utilizzato dal legislatore delegante sia semanticamente inteso a positivizzare tale legittimazione nel processo penale e che non equivalga, invece, ad introdurre una mera facoltatività del ricorso alla modalità digitale per la redazione degli atti processuali, alla luce dello stretto collegamento esistente tra tale indicazione e quella, contenuta nel medesimo criterio di delega, inerente l’obbligatorietà del deposito telematico, che trova attuazione nel nuovo articolo 111 bis c.p.p.


Si è in ogni caso prevista, al comma 3, una deroga alla regola generale dettata al comma 1, per tutti “gli atti che, per loro natura o per specifiche esigenze processuali, non possono essere redatti in forma di documento informatico”, formula volutamente ampia che vale a consentire il ricorso alle modalità tradizionali anche nelle ipotesi – diverse dai casi di malfunzionamento disciplinati dall’art. 175 bis c.p.p. – in cui contingenti e specifiche esigenze o caratteristiche proprie dell’atto non consentano la formazione dell’atto nativo digitale (si pensi, per esempio, ad una memoria redatta dall’imputato in stato di detenzione o di situazioni contingenti anche di impedimenti tecnici che non hanno le caratteristiche di un malfunzionamento nel senso dell’articolo 175 bis c.p.p.).


L’inserimento nella presente disposizione vale ad “anticipare” al momento della formazione la medesima deroga prevista all’art. 111 bis quanto al deposito telematico.

Si è, comunque, previsto, al comma 4, che gli atti redatti in forma di documento analogico, siano convertiti, senza ritardo, in copia informatica ad opera dell’ufficio che li ha formati o ricevuti, sempre nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la redazione, la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione degli atti e dei documenti informatici, così da assicurare in ogni caso la completezza del fascicolo informatico. Si è ritenuto preferibile non indicare un termine rigido di conversione in copia informatica dell’originale analogico, che, in coerenza con quanto si è detto circa la scelta di non inserire nuove ipotesi di invalidità, sarebbe stato comunque di natura ordinatoria. In questo senso, il riferimento alla locuzione “senza ritardo”, ben nota nella terminologia del codice, è parsa offrire quelle caratteristiche di coerenza e di sufficiente chiarezza, alla luce della elaborazione giurisprudenziale, tali da assicurare effettività in concreto alla previsione.


Si tratta di disposizione generale applicabile, dunque, a tutti gli atti del procedimento penale, ivi compresi, ovviamente, i provvedimenti del giudice disciplinati all’articolo 125 c.p.p. che, pur nella specifica regolamentazione delle forme, costituiscono, una sottocategoria di atti, come risulta evidente dalla collocazione sistematica nel codice processuale (la relativa disciplina è inserita nel titolo II del Libro secondo del codice di procedura penale “Atti”).


Quanto alla scelta del binomio di atto o documento “redatto in forma di documento informatico” ovvero “redatto in forma di documento analogico” si precisa quanto segue.


La terminologia utilizzata nella legge delega (redatti e conservati in formato digitale) non è esattamente corrispondente a quella finora diffusa e utilizzata nella normativa vigente, (sia primaria che secondaria), laddove l’aggettivo “digitale” viene riferito in modo pressoché esclusivo al “domicilio digitale” o alla “firma digitale”.


L’alternativa “documento informatico”/“documento analogico” è invece patrimonio acquisito.


Ed invero, l’articolo 34, comma 1 del decreto del Ministro della giustizia in data 21 febbraio 2011 n. 44, (“Regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione, nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell'articolo 4, commi 1 e 2 del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010, n. 24”), che detta le specifiche tecniche, comuni al processo civile e penale, utilizza la seguente espressione: “L’atto del processo in forma di documento informatico, da depositare telematicamente all’ufficio giudiziario, rispetta i seguenti requisiti (Omissis)”. La definizione di documento informatico e di documento analogico si rinviene poi nel CAD (d.lgs. n. 82/2005) nei seguenti termini:


- “documento informatico” è il documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti


- “documento analogico” è la rappresentazione non informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti.


Le lettere i bis e ss. dell'art. 1, comma 1 del CAD disciplinano, poi, il passaggio dall’uno all’altro, delineando i concetti di copia e di duplicato:


i bis) copia informatica di documento analogico: il documento informatico avente contenuto identico a quello del documento analogico da cui è tratto;


i ter) copia per immagine su supporto informatico di documento analogico: il documento informatico avente contenuto e forma identici a quelli del documento analogico da cui è tratto;


i quater) copia informatica di documento informatico: il documento informatico avente contenuto identico a quello del documento da cui è tratto su supporto informatico con diversa sequenza di valori binari;


i quinquies) duplicato informatico: il documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario.


Si è dunque ritenuto che, in un momento di transizione digitale di particolare rilievo in un contesto, quale quello che processo penale, che impone un punto di incontro tra linguaggio giuridico e tecnico, la soluzione di fare riferimento alle comuni definizioni presenti nella normativa primaria e secondaria, cui peraltro le nuove disposizioni del codice di procedura penale fanno espresso rinvio, fosse l’unica strada percorribile al fine di evitare sovrapposizioni terminologiche tali da creare il rischio di dubbi interpretativi.

Massime relative all'art. 110 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 36075/2007

È inammissibile il ricorso per cassazione privo della sottoscrizione dell'interessato e presentato da soggetto diverso da quest'ultimo e all'uopo incaricato, in quanto la sottoscrizione dell'impugnazione è imprescindibile e deve essere effettuata scrivendo di propria mano, in calce all'atto, il nome e il cognome di colui che deve firmare, a norma degli articoli 582 e 110, comma terzo, cod.proc.pen., il quale impone, in alternativa, la presentazione personale; né, a tal fine, è sufficiente la delega ad altro soggetto per la presentazione del ricorso, considerato che la libertà di forme ammessa in ordine al conferimento della delega non fa venir meno il requisito dell'indispensabilità della sottoscrizione del ricorso, necessaria non solo per la certezza della riconducibilità dello stesso all'autore apparente ma anche e soprattutto per il perfezionamento dell'atto del quale l'estensore assume la paternità conferendogli effetti giuridici. (Dichiara inammissibile, Trib. Trieste, 19 Ottobre 2005 ).

Cass. pen. n. 27975/2005

La sottoscrizione della querela costituisce, ai sensi dell'art. 337, comma primo, cod. proc. pen., requisito essenziale per la sua validità; a tal fine, il segno della croce non può considerarsi una firma o una sottoscrizione nè può ricollegarsi ad alcun effetto giuridico, salva l'ipotesi di colui che non sia in grado di scrivere ed, in tal caso, il pubblico ufficiale al quale l'atto sia presentato per iscritto o oralmente, accertata l'identità della persona, deve farne apposita annotazione. Ne deriva l'invalidità della querela che contenga l'indicazione del segno della croce cui faccia seguito un verbale privo della sottoscrizione del ratificante, in quanto, in relazione al segno di croce apposto in calce al verbale di ratifica, il pubblico ufficiale ricevente non operi la certificazione di cui all'art. 110, comma terzo, cod. proc. pen. e neppure provveda a controfirmare, siglare o timbrare l'atto contenente l'istanza punitiva, in guisa da non essere certo il collegamento con l'atto di ratifica.

Cass. pen. n. 22/1999

Nella nozione di pubblico ufficiale abilitato, a norma dell'art. 110, comma terzo, c.p.p., ad annotare, in fine di un atto scritto, che il suo autore non lo firma perché non è in grado di scrivere, non è compresa espressamente, né può farsi rientrare, in via di interpretazione, la figura del difensore, a nulla rilevando che ad esso l'art. 39 att. stesso codice attribuisca il potere di autenticazione della sottoscrizione di atti per i quali sia previsto il compimento di tale formalità, in quanto l'autenticazione è atto con cui il pubblico ufficiale si limita ad attestare che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza, mentre l'attestazione che un anonimo segno di croce proviene da una certa persona anziché da qualunque altra costituisce esercizio di una potestà certificativa esulante dal potere eccezionalmente riconosciuto al difensore solo in presenza di un atto regolarmente sottoscritto. (Fattispecie in tema di atto di impugnazione, in calce al quale, dopo il segno di croce dell'imputato, il difensore aveva provveduto all'annotazione che trattavasi di persona analfabeta).

Cass. pen. n. 5573/1998

Il segno di croce apposto in calce all'atto da parte dell'analfabeta è un semplice elemento grafico convenzionale indicante che una persona non sa scrivere, e, non essendo idoneo ad individuare l'autore, non può costituire equipollente della sottoscrizione, con la conseguenza che deve ritenersi inoperante la funzione stessa dell'autenticazione. Pertanto, mentre va esclusa, nei riguardi dell'analfabeta, l'applicabilità dell'art. 110, terzo comma c.p.p, che si riferisce alla persona che non è in grado di scrivere per causa diversa dall'analfabetismo, deve, altresì, escludersi l'applicabilità dell'art. 39 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, che conferisce al difensore il mero potere di autenticazione della sottoscrizione e non anche quello di formazione dell'atto di nomina che, nel caso specifico, deve necessariamente essere ricevuto dal pubblico ufficiale a ciò autorizzato, ai sensi dell'art. 96, comma 2, c.p.p., con la conseguenza dell'inammissibilità dell'impugnazione proposta dall'analfabeta il cui «crocesegno» sia stato autenticato dal difensore, del quale ultimo difetta la legittimazione alla proposizione del gravame.

Cass. pen. n. 1062/1997

È valido ed efficace il mandato difensivo conferito mediante crocesegno autenticato dal difensore ai sensi dell'art. 39 disp. att. c.p.p.; se, infatti, il segno di croce è privo di qualsiasi valore per l'ovvia ragione che non dà alcuna certezza dell'autenticità della provenienza dell'atto su cui è apposto, tuttavia può valere come speciale sottoscrizione qualora sia accompagnato dall'autentica di un pubblico ufficiale — quale deve considerarsi il difensore che provvede a detto adempimento — la quale assicura, per la sua intrinseca efficacia certificativa, la conoscenza dell'indentità della persona da cui quel segno grafico proviene. Resta così sostanzialmente osservato il disposto dell'art. 110 c.p.p., il quale, nel prevedere il caso in cui la persona che deve firmare non sia in grado di scrivere (in quanto analfabeta o per qualsiasi altro motivo), stabilisce che il pubblico ufficiale il quale riceve l'atto in forma orale o redatto per iscritto deve farne annotazione su di esso, previa identificazione della persona stessa.

Cass. pen. n. 1358/1997

La sottoscrizione dell'impugnazione deve essere effettuata scrivendo di propria mano in calce all'atto il nome e il cognome di chi deve firmare: il semplice segno di croce apposto dall'analfabeta non equivale a sottoscrizione, ma è una mera attestazione che chi deve firmare l'atto non è in grado di sottoscriverlo. Pertanto, l'impugnazione di analfabeta che reca in calce il segno di croce e che non è stata presentata personalmente in cancelleria è inammissibile perché priva dei requisiti richiesti per la presentazione dal combinato disposto degli artt. 582 e 110, comma 3, c.p.p., il quale impone la presentazione personale e l'attestazione del pubblico ufficiale circa l'impossibilità a sottoscrivere da parte dell'impugnante. (Nella specie la S.C. ha ritenuto il ricorso inammissibile sia che si interpreti come impugnazione personale dell'imputato, per le ragioni sopra indicate, sia che si voglia interpretare come impugnazione per il tramite del difensore, perché quest'ultimo non legittimato a esercitare davanti alla Corte di cassazione).

Cass. pen. n. 2973/1992

L'esistenza di vizi formali concernenti l'indicazione del giudice non è causa di nullità quando dal contesto e dal contenuto del provvedimento risulti chiaramente identificabile il giudice che lo ha emesso. (Nella fattispecie la Corte Suprema ha ritenuto del tutto irrilevante la circostanza che, da un timbro erroneamente apposto nell'intestazione e nella sottoscrizione dell'atto, risultasse l'indicazione di «pretore», essendo agevolmente identificabile da una serie di elementi univoci — numero di registro generale, intestazione dello stampato, ecc. — il diverso organo giudiziario che lo aveva emesso).

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