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Articolo 327 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447)

[Aggiornato al 30/11/2024]

Direzione delle indagini preliminari

Dispositivo dell'art. 327 Codice di procedura penale

1. Il pubblico ministero dirige le indagini e dispone direttamente della polizia giudiziaria(1) che, anche dopo la comunicazione della notizia di reato, continua a svolgere attività di propria iniziativa secondo le modalità indicate nei successivi articoli [109 Cost.].

Note

(1) Si tratta, quindi, di una disposizione che prescinde dall'intermediazione del dirigente dell'ufficio e dal coinvolgimento dei vertici gerarchici della polizia giudiziaria, avente ad oggetto sia il personale di polizia appartenete alla sezione di polizia giudiziaria istituita presso l'ufficio, sia il personale di altra sezione, sia di ogni servizio o organo di polizia giudiziaria ex art. 58.

Ratio Legis

La norma in esame trova la propria ratio nel principio costituzionale che stabilisce la dipendenza funzionale degli organi di polizia dal magistrato inquirente ex art. 109.

Spiegazione dell'art. 327 Codice di procedura penale

La norma in esame riproduce nella sostanza quanto disposto dall'art. 109 Cost. secondo cui l'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria, ribadendo un concetto, ossia quello della dipendenza funzionale della polizia giudiziaria, già presente agli articoli 56 e 58 c.p.p..

I singoli magistrati del pubblico ministero dispongono infatti immediatamente e direttamente del personale di polizia della sezione di polizia giudiziaria istituita presso l'ufficio della procura. Essi possono avvalersi anche del personale di altre sezioni nonché di ogni servizio o altro organo di polizia giudiziaria.

Il vincolo funzionale di cui sopra si declina essenzialmente nel potere di chiedere l'intervento della polizia giudiziaria nell'esercizio dei suoi poteri coercitivi, nel potere di impartire direttive relative alle indagini e nel potere di delegare specificamente taluni atti (v. artt. 247 co. 3 in materia di perquisizioni, art. 253 co. 3 in materia di sequestri e art. 267 co. 4 in materia di intercettazioni).

Massime relative all'art. 327 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 41127/2013

L'art. 327 bis c.p.p., nell'attribuire al difensore la facoltà di svolgere in ogni stato e grado del processo investigazioni in favore del proprio assistito, non può essere interpretato come una deroga ai principi generali del procedimento e del giudizio avanti la Corte di Cassazione, nel senso, cioè di consentire la produzione di nuovi documenti, anche diversi ed ulteriori da quelli che la parte non sia stata in grado di esibire nei precedenti gradi di giudizio. (Fattispecie in cui la Corte ha dichiarato inammissibile la richiesta di produzione dei risultati del test del dna, eseguito nelle more del ricorso per cassazione, per il rifiuto degli imputati a sottoporvisi nei precedenti gradi di giudizio).

Cass. pen. n. 19278/2005

In tema di acquisizione di dati relativi al traffico di un'utenza telefonica, è abnorme il provvedimento con il quale il Gip rigetta le richieste del P.M., avanzate ai sensi dell'art. 132 comma secondo del codice della privacy (e dunque relativa a dati risalenti ad una data anteriore ai due anni precedenti), motivando in ordine alla mancanza di utilità dell'acquisizione medesima ai fini dell'indagine: invero, l'unica valutazione demandata dalla legge al Gip è quella riguardante il dato formale ed esteriore della sussistenza di sufficienti indizi in ordine ai delitti di cui all'art. 407 comma secondo lett. a) del codice di rito, e non circa il merito della richiesta e i presupposti investigativi sui quali essa si basa.

Cass. pen. n. 7387/2005

In tema di segreto professionale, l'ordinamento processuale comprende, tra coloro che non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione della propria professione, gli investigatori privati autorizzati, categoria nella quale rientrano, con riguardo ad indagini effettuate all'estero, anche soggetti stranieri legittimati secondo l'ordinamento del proprio Paese, sempre che esistano disposizioni pattizie relative al riconoscimento del titolo. Anche per tali soggetti, qualora rifiutino di indicare la fonte delle informazioni poste ad oggetto della loro deposizione, è dunque esclusa la punibilità per il delitto di testimonianza reticente. (Fattispecie relativa ad un investigatore privato elvetico, che aveva rifiutato di indicare, deponendo come teste in un procedimento civile, la fonte di informazioni patrimoniali acquisite in Svizzera. In motivazione la Corte ha posto tra l'altro in evidenza le norme che equiparano agli investigatori italiani quelli appartenenti a Paesi dell'Unione europea, e l'accordo intervenuto tra quest'ultima e la Confederazione elvetica relativamente al riconoscimento «dei diplomi, dei certificati e di altri titoli»).

Cass. pen. n. 43307/2001

Non è ammissibile nel giudizio di legittimità, anche dopo l'entrata in vigore della legge 7 dicembre 2000, n. 397, la produzione di nuovi documenti attinenti al merito della contestazione e all'applicazione degli istituti sostanziali, non potendosi interpretare come una deroga ai principi generali del procedimento e del giudizio avanti la Corte di cassazione la lettera dell'art. 327 bis, comma 2 c.p.p., nella parte in cui attribuisce al difensore la facoltà di svolgere «in ogni stato e grado del processo» investigazioni in favore del proprio assistito «nelle forme e per le finalità stabilite nel titolo VI del presente libro».

Cass. pen. n. 781/1991

Nel corso delle indagini preliminari unico titolare delle indagini stesse è il pubblico ministero che le dirige, sicché il giudice rimane estraneo ad esse ed interviene per provvedere sulle richieste delle parti e della persona offesa solo nei casi previsti dalla legge.

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