Vari casi d'invenzione
Gli art. 117 a 123 riguardano i vari casi di invenzione, disciplinati con apposite norme proprie a ciascuno di essi. L'art. 927 è il primo fra quelli concernenti il ritrovamento di cose smarrite.
Origine delle relative disposizioni
Il diritto romano non ammetteva l'acquisto per occupazione delle cose smarrite e l'appropriazione di queste era considerata un furto sia che il ritrovatore ne conoscesse sia che non ne conoscesse il proprietario. Perfino delle cose gettate in mare si considerava ladro il ritrovatore, che se ne appropriasse, a meno che le cose stesse non fossero state gettate
animo derelinquendi e non al fine di tentare di salvarle.
L'origine delle disposizioni sull'acquisto delle cose smarrite per occupazione si trova nel diritto tedesco, che imponeva però al ritrovatore l'obbligo di darne avviso all'autorità.
Parte della dottrina rileva che il principio dell'acquisto delle cose smarrite fu poi pia particolarmente disciplinato durante la legislazione statutaria, che stabilì le forme di pubblicazione per far conoscere agli interessati il ritrovamento e, nel caso che nessuno reclamasse la cosa, 1' attribuzione di questa, mediante dichiarazione del giudice, al ritrovatore per un terzo e al fisco per gli altri due terzi.
Norme dei codici moderni
Nei codici moderni la disciplina del ritrovamento delle cose smarrite è varia: alcuni infatti attribuiscono al ritrovatore la proprietà completa delle cose o il ricavato della loro vendita, dopo compiute, invano, le pubblicazioni prescritte; altri concedono al ritrovatore soltanto una parte della proprietà per attribuire il resto all'amministrazione statale; altri ancora, infine, danno al ritrovatore solamente un premio e attribuiscono la proprietà all'amministrazione statale.
L'art. 927 riguarda le cose smarrite
L'art. 927, nel primo comma, usa una frase che è tecnicamente più precisa di quella del vecchio codice, ma è, tuttavia, ancora generica, in quanto si limita a dire «
chi trova una cosa mobile deve... ». Occorre, pertanto, che si precisi che in questo articolo si intende parlare di una cosa smarrita, perché per la cosa abbandonata provvede già, come. si è visto, l'
art. 923 del c.c.. Il proprietario della cosa smarrita non ha rinunciato, come quello della cosa abbandonata, al suo diritto di proprietà: l
'animus rimane, manca soltanto il
corpus, perché il proprietario non sa dove la cosa si trovi, non ha più la possibilità di esercitare su di essa il suo potere di fatto, come avviene nello smarrimento veto e proprio, che deve essere distinto dalla semplice dimenticanza. Questa consiste nell'allontanamento, meramente temporaneo, del proprietario dalla cosa. Egli allora non soltanto mantiene la volontà di continuare ad essere il titolare del diritto, ma, conoscendo e ricordando esattamente il luogo in cui la cosa medesima si trova, ha la possibilità di esercitare su di essa prontamente anche potere di fatto. Non manca, pertanto, per le cose dimenticate né l'
animus né il
corpus, e non può per esse essere applicato l'art. 927.
Qualche autore richiede che, perché ad una cosa possa attribuirsi la quanta di «
smarrita » sia necessario che essa si trovi in un luogo esposto agli sguardi di tutti e in cui tutti possano accedere. Forse è eccessivo richiedere come essenziale anche questo elemento, che non è ritenuto indispensabile neppure ai fini della irrogazione della pena stabilita dall'
art. 647 del c.p. per «
chiunque, avendo trovato denaro o cose smarrite, se ne appropria, senza osservare la prescrizione della legge civile sull'acquisto della proprietà delle cose trovate ». Gli estremi suindicati sono, infatti, quelli che caratterizzano il luogo pubblico. Ora può ben parlarsi, civilisticamente, di ritrovamento non solo se la cosa ritrovata non si trova in luogo pubblico oppure in luogo aperto o esposto al pubblico, ma anche se si trova in luogo privato, purché il ritrovatore non sappia a chi la cosa appartenga e non apparisca evidente a persona di normale intelligenza che la cosa medesima si trovi la in custodia o comunque lasciatavi dal proprietario dello stesso luogo privato in cui si trova. Se per es. Tizio, andando a caccia nel fondo di Caio, trova per terra una cartucciera, in località, non visibile dai confini del fondo medesimo, non può avere alcuna sicurezza che la cartucciera appartenga a Tizio, dato che altri cacciatori possono avere attraversato il fondo, al pari di lui, e avere smarrito la cosa.
Il luogo è senza dubbio privato, ma non per questo Tizio commetterebbe alcun che di illecito se, invece di consegnare la cosa al proprietario del fondo - dato il dubbio sulla proprietà della cosa medesima - la consegnasse senza ritardo al podestà seguendo la procedura stabilita dagli articoli in esame del codice civile.
La consegna delle cose deve farsi al proprietario
Il progetto preliminare redatto dalla Commissione reale per la riforma dei codici lasciava in facoltà del ritrovatore di restituire la cosa al proprietario o al possessore oppure di consegnarla al podestà. L'art. 715 del codice del 1865 disponeva che la consegna fosse fatta al precedente possessore.
L'art. 927 sancisce, invece, che la consegna deve farsi al proprietario principalmente per riaffermare che a costui resta pur sempre la proprietà della cosa smarrita, ma il ritrovatore può senza alcun inconveniente fare la consegna al possessore, poiché questi e il detentore sono, poi, dall'art.
931, equiparati al proprietario proprio agli effetti degli art. 927 e seguenti
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Diligenza del ritrovatore per la conservazione della cosa
Si è discusso, soprattutto in dottrina, quale sia la condizione giuridica della cosa nel periodo di tempo durante il quale resta presso il ritrovatore. La Commissione Reale aveva ritenuto opportuno risolvere legislativamente la questione, aggiungendo al su citato art. 566 un comma cosi formulato: «
Finchè la cosa rimane presso il ritrovatore, il rapporto è regolato come un deposito ».
Fu, però, osservato che non si poteva equiparare il ritrovatore al depositario in quanto mancava un deponente e fu proposto, dato che la consegna delle cose smarrite costituisce un interesse pubblico, di imporre, piuttosto, al ritrovatore l'obbligo di conservare la cosa con la diligenza del buon padre di famiglia.
Anche in questa questione il legislatore non ha creduto di dover prendere posizione e l'ha lasciata insoluta, come è nel vecchio codice. In sede di interpretazione, tuttavia, può affermarsi che era buona e logica la soluzione adottata dalla Commissione Reale e che essa è implicita nel testo dell'art. 927. Si è voluto con questo, come accennato, non porre aggravi non necessari al ritrovatore: a costui si può richiedere che usi per la conservazione della cosa ritrovata la stessa diligenza che usa per la conservazione delle cose proprie, ma non di più. Ora, se la diligenza del buon padre di famiglia è inferiore a quella
quam in suis quando ci si imbatta con un ritrovatore che sia un
diligentissimus vir, normalmente il primo tipo di diligenza, quella del diligente uomo medio, è superiore a quella che ciascuno e solito usare verso le cose proprie e non è logico che questo maggiore onere sia imposto al ritrovatore. Tanto più, poi, il ritrovatore può essere considerato quale figura analoga a quella del depositario, in quanto, se è vero che manca un vero deponente, non è meno vero che la legge stessa impone al ritrovatore di farsi depositario della cosa, fino a quando non ne abbia potuto compiere la consegna al proprietario o al podestà.
Salvezza delle leggi speciali
Le norme del codice lasciano salve quelle delle leggi speciali, che, per determinate categorie di persone e per determinate cose, dispongono in modo diverso in merito al ritrovamento e ai diritti e agli obblighi che ne derivano per il ritrovatore. Si intende accennare alle particolari disposizioni per i ritrovamenti che avvengono negli uffici pubblici, nei treni, nelle dogane, ecc.