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Articolo 2966 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Cause che impediscono la decadenza

Dispositivo dell'art. 2966 Codice Civile

La decadenza non è impedita se non dal compimento dell'atto previsto dalla legge o dal contratto.

Tuttavia, se si tratta di un termine stabilito dal contratto o da una norma di legge relativa a diritti disponibili, la decadenza può essere anche impedita dal riconoscimento [1988, 2720] del diritto proveniente dalla persona contro la quale si deve far valere il diritto soggetto a decadenza [94 l. fall.](1).

Note

(1) Nella prescrizione il riconoscimento del diritto produce la mera interruzione del termine (v. art. 2943), che ricomincerà perciò a decorrere, mentre nel caso della decadenza il riconoscimento impedisce definitivamente l'estinzione del diritto. Non deve pertanto farsi confusione tra i due istituti che, pur essendo simili, provocano effetti assai differenti.

Ratio Legis

La norma in commento è posta allo scopo di stabilire che la decadenza possa essere impedita solo dall'esercizio del diritto mediante il compimento dell'atto previsto, con il quale viene infatti meno la stessa ragion d'essere della decadenza, in quanto l'onere a cui era condizionato l'esercizio del diritto è ormai soddisfatto.

Spiegazione dell'art. 2966 Codice Civile

Rassegna degli atti impeditivi ; legittimazione al compimento dei medesimi

Come abbiamo visto (supra, n. 6 c), la decadenza non ammette interruzione, ma impedimento. Le cause di impedimento sono quelle e soltanto quelle stabilite dalla legge, o dal contratto, dall’atto col quale la decadenza è stata stabilita.

Gli atti impeditivi possono consistere :
a) nella proposizione di una domanda o azione o di un ricorso o di un'opposizione;
b) in una domanda, contestazione, od opposizione stragiudiziali;
c) in una dichiarazione di volontà debitamente resa o notificata;
d) in una denuncia o altra comunicazione di dati oggettivi;
e) nell'elevazione del protesto; nel compimento dell' inventario;
f) in atti di adempimento o comunque di pagamento o di versamento;
g) in altri atti giuridici vari, come la notifica e l'esecuzione della sentenza, l'istanza per vendita o per sequestro, l’ iscrizione del credito sugli immobili da separarsi, l'istanza per il riconoscimento della persona giuridica, etc.;
h) in atti materiali come la costruzione o la demolizione del muri, l'inseguimento degli sciami, il riempimento della cambiale in bianco, ecc.

La domanda giudiziale s'intende proposta con la notifica della ci­tazione ; la dichiarazione di volontà o la denuncia possono essere co­municate con qualunque mezzo verbale o scritto (atto stragiudiziale).

A volte la legge parla genericamente di esercizio del diritto : quando una disposizione successiva non spieghi come diritto debba essere esercitato, la decadenza deve ritenersi impedita col compimento da parte del titolare di quegli atti che sono in suo potere per il conseguimento dell'effetto utile.

In taluni casi è richiesto compimento non di uno, ma di più atti, in altri all'impedimento di una decadenza segue l'inizio di un nuovo termine di decadenza concernente sempre lo stesso diritto o potestà.

Legittimato al compimento dell'atto impeditivo è in primo luogo il titolare del diritto o della potestà; nel caso di incapacità, si veda sub art. 2964, n. 2. Debbono inoltre ritenersi legittimati i creditori in virtù della regola generale dell'art. 290o.

La decadenza potrà essere validamente impedita dal chiamato all'eredità, in quanto egli è investito del potere di compiere atti conser­vativi (art. 460) ; così pure dall'erede con beneficio d'inventario durante il tempo in cui deve liberare o in cui ha l'amministrazione (articoli 486, 491). Per le persone giuridiche tal compito spetta agli amministra­tori, ed eventualmente anche prima del loro riconoscimento (articoli 600, 786).


L'art. 2945 ult. comma e la decadenza

Non sempre può risultare esatta l'affermazione che il compi­mento dell'atto impedisce definitivamente la decadenza.

Allorché l'atto consiste nella proposizione di una azione o di un'im­pugnazione (ciò che avviene per la potestà di tutela), la proposizione è una semplice condizione del conseguimento dell'effetto utile che si otterrà solo con la sentenza di accoglimento.

Sorge in questi casi il problema dell'applicabilità in tema di deca­denza della norma di cui all'art. 2945, ult. comma. Per l'art. 2128 cod. 1865 si aveva come non interrotta la prescrizione nel caso di recesso dalla domanda o di perenzione. Di conseguenza era logico ritenere che, come la prescrizione non era interrotta, cosi la decadenza non era impe­dita. L'art. 2945, ult. comma, ha innovato disponendo che «se il processo si estingue, rimane fermo, l'effetto interruttivo e il nuovo periodo di prescrizione comincia a decorrere dalla data dell'atto interruttivo ». Ciò per quanto concerne la prescrizione, appare logico perché la propo­sizione della domanda giudiziale è pur sempre un atto interruttivo, cui non può attribuirsi minor valore di un qualunque atto di costituzione in mora. Ma si può dire, per analogia, che la proposizione dalla domanda giudiziale vale a impedire la decadenza anche se il processi così iniziato successivamente si estingue ?

Si ritiene di no. Se il processo si estingue, trascina con sé nel nulla la proposizione della domanda. Invero per ottenere la sen­tenza l'interessato dovrebbe proporre una nuova domanda, ma questa sarebbe fuori termine. Non altrimenti se il processo di appello si estingue, la sentenza del primo giudice passa in giudicato.


Il riconoscimento del diritto

In materia di diritti disponibili, la legge riconosce efficacia impeditiva anche a un atto della controparte, ossia al riconoscimento del diritto. Dice la Relazione al Re (n. 155) : « Costituirebbe un ingiustificato formalismo costringere la parte a chiedere il riconoscimento giudiziale del diritto quando questo è spontaneamente riconosciuto da colui che dovrebbe essere convenuto in giudizio ».

Il riconoscimento potrà, è vero, rimanere platonico, non essere cioè seguito dal soddisfacimento, e quindi rendere necessario un nuovo giudizio. Ma l'azione sarà questa volta libera da termini. Ciò avviene perché il riconoscimento, quale negozio di accertamento, pone il diritto su una nuova base (allo stesso modo che la sentenza, quale prov­vedimento di accertamento, dà luogo all’actio judicati soggetta a ter­mine diverso dall'azione originaria).

Il riconoscimento di cui all'art. 2966, benché alcuni autori (Messineo) la pensino diversamente, non è infatti cosa diversa dal riconoscimento del quale si parla come negozio di accertamento ; né vedo in che potrebbe consi­stere la differenza, che il M. non indica.

Il riconoscimento non va confuso con la confessione, la quale, com'è noto, verte solo sul fatto e non anche sul diritto. La semplice confes­sione non basta a impedire la decadenza. Occorre però soggiungere che l'indagine volta a stabilire se si tratti di confessione o di riconoscimento è alquanto delicata e non deve fermarsi superficialmente e formalisti­camente alle parole usate dalla parte, ma deve dirigersi all'intenzione: Molto spesso l'ammissione del fatto è un modo pedestre di riconoscere il diritto; anzi si potrebbe dire che essa contiene un implicito riconosci­mento del diritto, tutte le volte che la parte ammettendo il fatto non intenda riservarsi eccezioni di diritto.

Perché si abbia riconoscimento valido occorre che la patte abbia capacità di obbligarsi. L'inclusione di un credito nel conto corrente non implica riconoscimento (arg. ex art. 1827). In deroga alla regola che abbiamo tratto per analogia dall'art. 1310, il riconosci­mento fatto da uno dei debitori in solido non impedirà la decadenza nei riguardi degli altri condebitori (arg. art, 1309) ; fatto invece a uno dei creditori in solido gioverà anche agli altri.

Anche nel caso in cui l'atto da compiere consiste in una de­nuncia, il riconoscimento ha efficacia impeditiva : esso infatti la rende inutile, anzi ha una portata maggiore perché implica l'am­missione e quindi la incontestabilità del fatto che dovrebbe essere denunciato. Applicazioni di ciò si hanno negli articoli 1495, 1511, 1522, 1667.


Inefficacia impeditiva del riconoscimento rispetto alle deca­denze aventi per oggetto potestà d'acquisto o eliminabili con atti conserva­tivi

Meno agevole è riconoscere efficacia impeditiva al riconoscimento in tutti gli altri casi in cui non valgono le ragioni addotte dalla ministeriale : così per le potestà di acquisto che si esercitano mediante una dichiarazione, e non con la proposizione di una domanda.

Per vero, la legge col parlare di diritto da « far valere » si riferisce evidentemente alle sole potestà di tutela.

Riconoscere al chiamato il diritto di accettare l'eredità o al venditore il diritto di riscatto non significa esentarlo dall’onere di manifestare la sua volontà entro un dato termine. Qualora lo si voglia esentare ia tale onere, e sollevare da una incombente decadenza, bisognerà ricorrere a un vero e proprio atto di rinuncia.

Lo stesso è a dirsi quando l'atto da compiere è un atto conservativo diverso dalla denuncia. Il fatto che io riconosca al giratario il diritto ii agire in regresso verso di me, non significa che io lo esenti dall'ele­vare a suo tempo il protesto. Se ciò intendo fare, io compio un atto non di riconoscimento, ma di rinuncia.


Questioni sulla validità dell'atto impeditivo

L'atto impeditivo della decadenza dev'essere un atto valido. Sotto il codice abrogato, molto si discusse se la domanda proposta da­vanti al giudice incompetente avesse l'effetto di impedire la decadenza, some aveva ed ha l'effetto di interrompere la prescrizione (art. 2125 coda 1865, 2943, 3° comma cod. vig.). L'opinione dominante era per l'affermativa, ma anche l'opinione opposta era autorevolmente rappresentata.

La questione ha oggi perduto parte della sua importanza per l'ar­ticolo 5o del nuovo codice di procedura civile, che consente di conside­rare il processo davanti al giudice designato dalla Corte di cassazione M sede di regolamento di competenza come una prosecuzione di quello stesso processo proposto davanti al giudice incompetente. Il regola­mento di competenza va quindi considerato come una sanatoria di quel vizio. Ma se la parte non si vale di tale rimedio, la questione si ripre­senta e deve a mio avviso risolversi in senso negativo coerentemente alla soluzione accolta in caso di estinzione del processo.

Similmente nel caso di litisconsorzio necessario, la domanda proposta contro una delle parti potrà impedire la decadenza a condizione che il contradittorio sia integrato nel termine stabilito dal giudice a norma dell'art. 102 cod. proc. civ. ; ma se anche questo termine, che è peren­torio, decorrerà invano, la domanda dovrà ritenersi improponibile e la decadenza si verificherà anche contro la parte che era stata citata.

L'inefficacia della domanda a impedire la decadenza si verifica per qualsiasi nullità della citazione o della notifica (articoli 16o, 164 cod. proc. civ.). La costituzione del convenuto non impedisce la decadenza verificatasi per tale causa, trattandosi di un diritto già quesito (art. 164, cpv.).

In linea generale la validità di tutti gli atti impeditivi diversi dalla domanda giudiziale va giudicata in relazione alla loro idoneità a conseguire lo scopo cui erano diretti.

Talora la legge indica espressamente le cause di nullità (art. 2892 del c.c., ultimo comma).

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 2966 Codice Civile

Cass. civ. n. 3851/2017

In tema di decadenza, al fine di garantire le elementari esigenze di certezza dei rapporti giuridici è necessario che l'adempimento idoneo ad evitarla si esplichi in relazione ad una pretesa determinata, individuata anche mediante l'indicazione del titolo posto a fondamento della tutela invocata, che costituisce imprescindibile elemento distintivo della pretesa. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto inidonea ad impedire la decadenza annuale di cui all’art. 1751, comma 5, c.c. una missiva che non conteneva alcun riferimento all’indennità di fine rapporto, ma si riferiva a pretese collegate ad un rapporto di lavoro subordinato).

Cass. civ. n. 10120/2006

In materia di cause che, a norma dell'art. 2966 c.c., impediscono la decadenza, il riconoscimento del diritto proveniente dalla persona contro la quale si deve far valere il diritto soggetto a decadenza, se non è espresso, può essere desunto esclusivamente da un fatto che, avendo quale presupposto l'ammissione, totale o parziale, della pretesa avversaria, sia incompatibile con la volontà opposta. A tal fine, le trattative per comporre bonariamente la vertenza, non avendo quale precipuo presupposto l'ammissione totale o parziale della pretesa avversaria e non rappresentando, quindi, riconoscimento del diritto altrui, non valgono, di per sé, ad impedire la decadenza. (Principio espresso in fattispecie di estinzione della fideiussione, per non avere il creditore proposto le sue istanze nei confronti del fideiussore nel termine semestrale di decadenza di cui all'art. 1957 c.c.).

Cass. civ. n. 13218/2001

L'art. 2966 c.c., che riconnette al riconoscimento della controparte un effetto impeditivo della decadenza, si riferisce soltanto ai diritti disponibili; pertanto tale norma non opera in materia tributaria per i diritti del Fisco nei confronti del contribuente, che tale natura non hanno.

Cass. civ. n. 3473/2000

Il principio, desumibile dall'art. 2966 c.c. - secondo cui, allorché l'atto richiesto per impedire una decadenza consista nell'esercizio di un'azione, la tempestiva proposizione della domanda giudiziale, ancorché davanti a giudice incompetente, rappresenta un evento idoneo a tal fine - presuppone che l'organo erroneamente adito sia a sua volta fornito di potestas iudicandi ed appartenga al medesimo ordine giurisdizionale, essendo gli effetti conservativi del termine decadenziale funzionali alla transalatio iudicii ed alla prosecuzione del processo innanzi al giudice competente; tale principio non può pertanto trovare applicazione allorquando una controversia appartenente alla giurisdizione del giudice ordinario sia erroneamente introdotta davanti al giudice amministrativo. (Nella specie, la delibera di decadenza per incompatibilità dalla carica di Consigliere Comunale era stata impugnata innanzi al Tar e successivamente, ma oltre il termine di trenta giorni dalla notifica della delibera di cui all'articolo 82 del D.P.R. n. 570 del 1960, al giudice ordinario; la S.C., in applicazione dell'esposto principio, ha confermato la decisione di merito di irrilevanza del primo ricorso a impedire la decadenza).

Cass. civ. n. 7099/1995

Qualora la legge preveda la decadenza da un diritto di credito per il caso di suo mancato esercizio entro un certo termine, la richiesta di un pagamento soltanto parziale è atto di esercizio idoneo ad impedire la decadenza con riguardo all'intera prestazione dovuta — stante la facoltà del creditore di chiedere e di accettare l'adempimento parziale — ed a far si che la richiesta di pagamento dell'importo residuo non sia poi soggetta ad alcun termine di tal genere; ne consegue che l'esercizio di un diritto di credito previdenziale, attuato entro il termine di decadenza previsto dalla legge, impedisce tale decadenza anche con riguardo all'adeguamento monetario, ancorché di questo non sia fatta espressa menzione, atteso che la rivalutazione monetaria costituisce una componente essenziale del credito previdenziale ed atteso altresì che non può configurarsi una rinuncia a un diritto in mancanza di uno specifico atto dal quale possa univocamente ricavarsi tale manifestazione di volontà.

Cass. civ. n. 2813/1993

Allorché l'atto richiesto per impedire la decadenza consista nell'esercizio di un'azione la tempestiva proposizione della domanda giudiziale non è idonea a conseguire tale effetto nel caso che il processo sia dichiarato estinto, perché l'estinzione rende inefficaci tutti gli atti processuali compiuti, compreso l'atto introduttivo della lite, al quale non può essere attribuito alcun effetto processuale o sostanziale, e quindi neppure quello di impedire la decadenza del diritto fatto valere in giudizio. Tale principio trova applicazione anche nel giudizio proposto dal conduttore ex art. 79 della L. 27 luglio 1978. n. 392 per ottenere la restituzione di somme corrisposte al locatore in violazione dei divieti e dei limiti previsti da tale legge, con la conseguenza che nel caso di estinzione di detto giudizio, la riproposizione della medesima azione non vale a sanare la eventuale decadenza dall'azione stessa nel frattempo verificatasi per effetto del decorso del termine di sei mesi dalla riconsegna dell'immobile locato, fissato dal secondo comma dell'art. 79 della legge stessa.

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