(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)
1190 Circa gli effetti dell'espropriazione forzata, è confermato, nell'
art. 2919 del c.c., nei confronti dell'acquirente, il principio "nemo plus iuris in alium transferre potest quam ipse haberet" che il codice di procedura civile del 1865 affermava espressamente (art. 686) soltanto riguardo agli immobili. In ordine ai mobili, è noto che l'applicazione della regola era limitata dagli articoli 647 e 648 del detto codice a tal punto che una recente autorevole dottrina è giunta a sostenere che nelle vendite forzate mobiliari l'acquirente diventi proprietario anche se sia in mala fede. Tale diversità di trattamento, che rappresenterebbe una deviazione dal principio stabilito dall'art. 1153, non mi è sembrata giustificata, e ho perciò unificato gli effetti dell'espropriazione rispetto alle due categorie di beni, salve, naturalmente, le conseguenze del possesso di buona fede per i mobili non iscritti in pubblici registri. Discende, per altro, come naturale conseguenza, dai principi affermati negli ,articoli 2913-2916 che il diritto del terzo non è opponibile all'acquirente quando sia stato acquistato in base ad atti non aventi efficacia in pregiudizio del creditore pignorante e del creditori intervenuti nell'esecuzione, appunto perché questi atti non sono produttivi di effetti rispetto all'esecuzione ed alla situazione che ne deriva: il che, in fondo, importa che, al fine di determinare la condizione giuridica nella quale subentra l'acquirente, bisogna, in linea di massima, avere riguardo a quella esistente nel momento del pignoramento. L'
art. 2920 del c.c. nega l'azione contro l'acquirente di buona fede ai terzi che avevano la proprietà di una cosa mobile o altri diritti reali su di essa, ma non li abbiano fatti valere sulla somma ricavata dall'esecuzione, a norma dell'art. 620 del codice di procedura civile. In questo caso ho limitato la responsabilità, per i danni e per le spese, del creditore procedente all'ipotesi in cui egli abbia agito in mala fede, sembrandomi che il titolare del bene debba risentire le conseguenze di quanto è accaduto per effetto, tra l'altro della sua inerzia. Il creditore procedente risponde, invece, verso l'acquirente evitto, anche per sola colpa (
art. 2921 del c.c.), secondo i principi generali: mentre, infatti, non si può fare carico all'acquirente di concorrere nella vendita, bisogna che il creditore sia stimolato alla massima diligenza nella scelta dei beni, affinché l'esecuzione possa validamene aver luogo. Quanto al prezzo, il pagamento del quale, a seguito dell'evizione, risulta senza causa, è giusto che l'acquirente lo possa ripetere anche presso ciascun creditore utilmente collocato e, in caso di residuo, presso il debitore: ma la ripetizione non ha luogo nei confronti dei creditori privilegiati o ipotecari ai quali la causa dell'evizione non era opponibile. Cosi si sono risolte molteplici delicate questioni che erano sorte sotto l'impero del codice civile anteriore e che, in difetto di elementi testuali, non avevano potuto trovare soluzioni tranquillanti.