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Articolo 2411 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Diritti degli obbligazionisti

Dispositivo dell'art. 2411 Codice Civile

Il diritto degli obbligazionisti alla restituzione del capitale ed agli interessi può essere, in tutto o in parte, subordinato alla soddisfazione dei diritti di altri creditori della società.

I tempi e l'entità del pagamento degli interessi possono variare in dipendenza di parametri oggettivi anche relativi all'andamento economico della società.

La disciplina della presente sezione si applica inoltre agli strumenti finanziari, comunque denominati, che condizionano i tempi e l'entità del rimborso del capitale all'andamento economico della società.

Ratio Legis

Le obbligazioni sono titoli di credito che rappresentano per l'obbligazionista una forma di investimento più o meno rischioso a seconda dei limiti posti e che obbligano la società emittente al rimborso del capitale e degli interessi maturati dall'obbligazionista.

Spiegazione dell'art. 2411 Codice Civile

La norma delinea solamente alcune tipologie di titoli obbligazionari.
Nello specifico, in base al tipo di diritti riconosciuti all’obbligazionista, di usa normalmente distinguere tra:
1) obbligazioni ordinarie: il titolo conferisce al suo titolare il diritto alla corresponsione di un interesse fisso su base periodica e, alla scadenza dell’obbligazione, la restituzione del capitale sociale;
2) obbligazioni subordinate: il titolo subordina la corresponsione dell’interesse e la restituzione del capitale al pagamento prioritario di altri creditori della società;
3) obbligazioni partecipative: si differenziano dalle obbligazioni ordinarie per il fatto che la remunerazione del prestito non è pre-determinata, essendo l’interesse variabile in rapporto all’andamento economico della società;
4) obbligazioni indicizzate: in tal caso il tasso d’interesse praticato varia in relazione al variare di indici oggettivi interni o esterni all’impresa (es: al valore di mercato delle azioni);
5) obbligazioni convertibili: disciplinate specificamente agli art. 2420 bis ss., conferiscono all’obbligazionista il diritto a convertire in azioni le proprie obbligazioni, alla scadenza prefissata.

In ogni caso, quelle menzionate rappresentano solo alcune delle tipologie di obbligazioni più diffuse. L'autonomia privata è infatti libera nel determinare il contenuto e le condizioni dell'obbligazione. Possono a questo proposito citarsi anche le obbligazioni a premio, che prevedono l'attribuzione agli obbligazionisti di utilità aleatorie da assegnare mediante sorteggio o altro sistema; le obbligazioni in valuta estera; le obbligazioni con warrant, che attribuiscono il diritto di sottoscrivere o acquistare azioni della società emittente o di altra società.

Relazione al D.Lgs. 6/2003

(Relazione illustrativa del decreto legislativo recante: "Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366.")

7 La delega prevede (art.4, comma 5) che la disciplina relativa all'emissione di obbligazioni sia modificata nel senso: a) di attenuarne o rimuoverne i limiti all'emissione; b) di consentire l'autonomia statutaria di determinare l'organo competente a decidere l'emissione. In attuazione non solo della specifica previsione della delega, ma anche del principio generale di valorizzazione dell'autonomia statutaria, l'art. 2410 del c.c. rimette in principio la decisione sull'emissione di obbligazioni all'organo amministrativo, salvo diversa previsione statutaria. E' conservata la regola della pubblicità della decisione e del deposito. In applicazione di uno degli indirizzi generali della Riforma, l'arricchimento degli strumenti di finanziamento dell'impresa, l'art. 2411 del c.c. dà espresso riconoscimento alla possibilità che il prestito obbligazionario assuma profili di subordinazione, e possa partecipare, anche giuridicamente, al rischio di impresa. Si recepisce così l'esperienza estera diffusa e consolidata, e già nota in Italia in settori specialistici, contribuendo, come è evidente, ad assottigliare la linea di confine tra capitale di rischio e capitale di credito. Difficile problema quello del limite all'emissione di obbligazioni. Il Codice Civile del 1942, nello stabilire all'art. 2410 che: "la società può emettere obbligazioni... per somme non eccedenti il capitale versato ed esistente secondo l'ultimo bilancio approvato" si adeguava, verosimilmente, alla tesi che nel limite, e quindi nel capitale, appunto "versato ed esistente", ravvisava un principio di garanzia per gli obbligazionisti. Così interpretata, la disciplina, oltre ovviamente a condizionare e limitare pesantemente la possibilità di ricorso a tali strumenti di finanziamento tipicamente a medio-lungo termine, provocava rilevanti difficoltà applicative, soprattutto per l'accertamento dell'effettiva esistenza del capitale alla data di emissione. L'impostazione a base della disciplina del Codice Civile del 1942 era stata fortemente criticata, ed è oggi diffusamente accettata la tesi che individua la portata del limite nel senso di attuare l'esigenza di un'equilibrata distribuzione del rischio di attività di impresa tra azionisti e obbligazionisti. In altri termini, si è in presenza di una tecnica diretta ad impedire che gli azionisti ricorrano al mercato del capitale di credito a medio-lungo termine in misura eccessiva rispetto a quanto rischiano in proprio, e dunque di un principio sistematicamente analogo al limite alla emissione di azioni di risparmio e privilegiate, anche questo determinato con riferimento al capitale. Sulla base di questa impostazione del problema e dell'indicazione della delega, nonché di quanto già parzialmente avvenuto per effetto del d.lgs. n. 385 del 1993, che per talune società ha modificato il Codice Civile, si è delineato nell'art. 2412 del c.c. un regime innovativo. Si è ritenuto di mantenere in principio una regola di rapporto fra il ricorso al mercato fra il capitale di rischio e il capitale di credito, prendendo a base del parametro il capitale sociale come ammontare versato o che i soci si sono impegnati a versare, più, essenzialmente se non esclusivamente, le riserve da utili, tutto ciò che in sostanza rappresenta l'impegno economico dei soci nella società. E' sembrato opportuno al fine di agevolare l'accesso al mercato dei capitali considerare tale parametro nella misura del doppio della cifra risultante dagli elementi sopra indicati al fine di individuare il limite in questione. E' sembrato, altresì, opportuno ad ulteriore garanzia dei terzi chiedere ai sindaci l'attestazione del rispetto di questi limiti. Si è poi previsto, per agevolare il ricorso a queste fonti di finanziamento, che il limite possa essere superato se l'eccedenza è sottoscritta da parte di investitori che per la loro qualifica non hanno bisogno di speciale tutela, proteggendo il principio con la responsabilità del sottoscrittore in caso di successiva circolazione. A tal fine si sono individuati tali investitori per le loro caratteristiche di professionalità e per la loro soggezione a forme di vigilanza prudenziale; con ciò avvalendosi dei criteri che per fini analoghi sono previsti nell'articolo 11 del d. lgs. N. 385 del 1993. Per le obbligazioni garantite da ipoteca sui beni alla società si è ritenuto di doverle escludere dal limite e dal calcolo del limite. Per le società, invece, le cui azioni sono negoziate in mercati regolamentati, esistendo il controllo del mercato, si è ritenuto di non stabilire alcun limite, a condizione, ovviamente, che destinate alla quotazione siano anche le obbligazioni. Si è mantenuta la deroga speciale prevista nell'attuale art. 2410, 3° comma. Alla restante disciplina delle obbligazioni si sono apportate solo le modifiche conseguenti a quelle principali.

Massime relative all'art. 2411 Codice Civile

Cass. civ. n. 19024/2005

La nullità del contratto per contrarietà a norme imperative, ai sensi dell'art. 1418, primo comma, cod. civ., postula che siffatta violazione attenga ad elementi intrinseci della fattispecie negoziale, cioè relativi alla struttura o al contenuto del contratto, e quindi l'illegittimità della condotta tenuta nel corso delle trattative per la formazione del contratto, ovvero nella sua esecuzione, non determina la nullità del contratto, indipendentemente dalla natura delle norme con le quali sia in contrasto, a meno che questa sanzione non sia espressamente prevista anche in riferimento a detta ipotesi, come accade nel caso disciplinato dal combinato disposto degli artt. 1469-ter quarto comma, e 1469-quinquies, primo comma, cod. civ., in tema di clausole vessatorie contenute nei cd. contratti del consumatore, oggetto di trattativa individuale (In applicazione di siffatto principio, la S.C. ha escluso che l'inosservanza degli obblighi informativi stabiliti dall'art 6 della legge n. 1 del 1991, concernente i contratti aventi ad oggetto la compravendita di valori mobiliari, cagioni la nullità del negozio, poichè essi riguardano elementi utili per la valutazione della convenienza dell'operazione, sicchè la loro violazione neppure dà luogo a mancanza del consenso).

Cass. civ. n. 11056/1998

I provvedimenti emessi dal giudice di merito in tema di omologazione, iscrizione e pubblicazione di deliberazioni assembleari di società
a norma degli artt. 2411 e 2436 CC., non sono impugnabili con il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., perché rivestono carattere meramente ordinatorio, sono sempre revocabili da parte del giudice che li ha adottati, si esauriscono in atti di gestione di un pubblico registro previo controllo circoscritto alla natura ed alla regolarità formale delle deliberare, non statuiscono su posizioni di diritto soggettivo, non esprimono, infine, decisioni sulla validità delle deliberazioni medesime (principio affermato in relazione ad un provvedimento del tribunale, confermato dalla corte di appello, con il quale era stata negata l'omologazione alla delibera dell'assemblea straordinaria di una Spa con la quale si disponeva il trasferimento della sede sociale sul presupposto che, avendo la società stessa riportato la perdita dell'intero capitale sociale, le uniche deliberazioni ammissibili fossero quella di cui all'art. 2447 c.c., nella specie non adottate, mentre il divieto per gli amministratori di compiere nuove operazioni ex art. 2449 stesso codice non doveva ritenersi limitato alle sole attività di contenuto economico, bensì estensibile anche alla proposta di trasferimento della sede).

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