Natura giuridica del rapporto
Non può porsi in dubbio la natura giuridica di deposito del rapporto intercedente tra i magazzini generali ed i clienti relativamente alle merci introdotte. È vero che la responsabilità dell'esercente non coincide esattamente con quella del comune depositario, essendo determinata con una norma particolare, quella dell'art. 1787, che presenta innegabili analogie con quella relativa alla responsabilità dell'albergatore (art. 1784); ma la diversa configurazione e gradazione della responsabilità non esclude la permanenza del tipo negoziale. Essendo irrilevante in sede dogmatica la qualificazione di deposito accolta nell'intitolazione della Sez. II sull'albergatore, come nella Sez. III sui magazzini generali, la natura di deposito del rapporto relativo alle cose introdotte in albergo si è esclusa non, o non principalmente, sulla base della statuizione particolare sulla responsabilità, bensì attraverso l'esame delle caratteristiche strutturali e funzionali del rapporto stesso, decisamente divergenti da quelli che sono i caratteri tipici essenziali del deposito.
Nelle operazioni dei magazzini generali, invece, non si riscontra nessuno di tali caratteri differenziali, decisivi per far ritenere impropria la qualificazione legislativa: si hanno, qui, infatti, l'affidamento espresso delle merci ai magazzini; la detenzione da parte di questi durante il rapporto; l'esplicazione, contrattualmente dovuta, di una diretta attività di conservazione delle merci; e l'obbligo finale di restituzione. Che, in particolare, l'attività di conservazione e vigilanza sia oggetto di una prestazione dovuta, e non attività meramente interna e preparatoria tale da condurre alla configurazione dell'obbligo contrattuale come garanzia del risultato anziché come facere contrattuale, è dimostrato non solo dall'esistenza di norme, che stabiliscono le modalità della custodia ed implicano la rilevanza del modo di adempimento di essa, indipendentemente dal risultato finale, ma soprattutto dal rilievo che la custodia o conservazione delle merci è positivamente sancita come contenuto dell'obbligazione dell'esercente. L'art 1787 dichiara, infatti, i magazzini "responsabili della conservazione delle cose depositate", ond'è chiaro che l'attività di conservazione è il contenuto dell'obbligo contrattuale.
Una volta riconosciuto che l'obbligazione dei magazzini ha la stessa natura qualitativa di quella del comune depositario, e cioè obbligazione di custodia, non rileverebbe, contro la corrispondente qualificazione del contratto come deposito, l'eventuale diversità di estensione dell'obbligazione medesima. Pertanto tale qualificazione rimarrebbe ferma, anche se si ritenesse che la responsabilità dei magazzini generali abbia una latitudine minore di quella del comune depositario, non coprendo gli eventi dannosi qualunque ne sia la causa, ma lasciando fuori quelli dipendenti da cause intrinseche alle cose depositate. Una siffatta restrizione potrebbe apparire fondata sulla lettera dell'art. 1787, che, analogamente a quella dell'art. 1784 sul c. d. deposito in albergo, esime l'esercente da responsabilità quando la perdita o il deterioramento sia derivata dalla natura o dai vizi della cosa. Su tale base si è ritenuto, infatti, che l'albergatore non risponda di
tali eventi, anche se avrebbero potuto essere evitati mediante l'impiego di una attività diretta a prevenirli.
Tuttavia, malgrado l'identità letterale, è da ritenere che una uguale conclusione non debba accogliersi per il deposito nei magazzini generali, rispetto al quale da un canto difetta quella particolare situazione di fatto, che per il c.d. deposito in albergo legittima, accanto all'argomento letterale, la conclusione stessa; mentre, d'altro canto, è risaputo che proprio nella sicurezza offerta alle merci, la cui conservazione richiede per natura speciali cautele ed appropriati impianti tecnici, consiste uno dei vantaggi caratteristici del deposito nei magazzini generali, onde la conclusione di una responsabilità minore di quella derivante dal comune deposito contrasterebbe con le caratteristiche economiche e pratiche del rapporto in esame.
Quindi, anche per quanto concerne la latitudine dell'obbligo di custodia dei magazzini generali, si può rinviare senz'altro al commento riguardo la custodia del comune depositario (art. 1766).
Avendo così riconosciuto che la situazione di fatto e l'obbligazione dei magazzini generali coincidono con la fattispecie e con l'obbligazione di custodia ex deposito, le differenze della disciplina giuridica su punti particolari, quali risultano dagli articoli annotati e da alcune disposizioni della legge speciale, non possono modificare la qualificazione giuridica del contratto nel senso del deposito. E ne deriva l'applicabilità, in linea di principio, delle norme sul deposito in genere, contenute nella Sez. I, con le deroghe espressamente disposte, e con qualche adattamento alle particolari caratteristiche e modalità dell'operazione di deposito nei magazzini generali.
Responsabilità per le cose depositate
La particolarità più importante della disciplina del deposito nei magazzini generali è quella che concerne la responsabilità per le cose depositate. Consiste essenzialmente in ciò che, verificatosi l'evento dannoso, l'esercente non può liberarsi, secondo la regola generale sull'adempimento, applicabile anche al deposito in generale, provando l'impiego della diligenza dovuta, ma deve dare la dimostrazione specifica della causa dell'evento stesso, e questa causa deve rientrare tra quelle previste dall'art. 1787: caso fortuito, natura delle merci, vizi di esse o dell'imballaggio.
Contenuto della custodia
Riguardo al contenuto della custodia, il deposito nei magazzini generali non presenta particolarità influenti sulla sua configurazione giuridica. Si suol parlare di una custodia tecnica o tecnicamente organizzata, per quanto concerne sia l'organizzazione dell'attività di vigilanza sia l'attrezzatura e manutenzione dei locali. Ed invero è esatto che dai magazzini generali si possa pretendere l'impiego di mezzi ed attività di carattere tecnico e comunque di maggior efficienza di quelli dovuti dal comune depositario, specie dal punto di vista dell'adeguazione alla particolare natura delle varie cose depositate: ma questa notazione ha in definitiva valore meramente descrittivo, poiché sul terreno giuridico non costituisce se non l'applicazione del principio generale posto dall'art. 1176, vale a dire della specificazione del criterio misuratore della diligenza (bonus paterfamilias) secondo l'attività e il carattere professionale del debitore. Né, d'altra parte, essa rileva sul terreno dalla responsabilità, dal momento che, per l'art. 1787, la liberazione dalla responsabilità non è conseguibile attraverso la prova dell'impiego della diligenza dovuta.
Neppure si può considerare rientrante nella custodia dovuta dal magazzino l'assicurazione della merce depositata contro l'incendio, mancando la ragione di una soluzione diversa da quella sostenuta per il comune depositario; pertanto l'assicurazione sarà dovuta solo se promessa nel regolamento d'esercizio — nel quale caso di solito i magazzini vi provvedono mediante polizze generali in abbonamento oppure in virtù di apposita clausola contrattuale. Quando l'obbligo sussista, esso, come quelli relativi ad altre operazioni accessorie che possono essere assunte dai magazzini (scarico, dogana, spedizioni, vendita), non costituisce obbligazione ex deposito, ma trova la sua fonte in un patto aggiunto, di diversa natura (mandato o locazione d'opera).
In ogni sua parte, quindi, salvo per quanto attiene alla prova liberatoria, l'obbligo di custodia dei magazzini generali coincide con quello del comune depositario, e può senz'altro rinviarsi al commento degli artt. 1766 e 1768; come questo, esso costituisce un obbligo dotato di autonoma rilevanza esterna, dando luogo ad una attività dovuta, soggetta al controllo e costituente una pretesa contrattuale del depositante, anche indipendentemente dalla restituzione (vedi, articolo 1770).
Restituzione delle cose depositate e deposito alla rinfusa
Proprie peculiarità presenta invece l'obbligo di restituzione, attinenti alle modalità della restituzione ed alla legittimazione passiva.
Sotto il secondo profilo, la particolarità deriva dall'obbligo dell'esercente di rilasciare i titoli rappresentativi delle merci depositate, con la conseguenza, quando questi siano stati richiesti ed emessi, del regime cartolare della legittimazione; peraltro tale regime non solo non contraddice al principio della irrilevanza in sede di restituzione dei rapporti giuridici relativi alle cose depositate, ma anzi lo implica autonomamente, e più radicalmente di quanto non derivi dalla disciplina legislativa del deposito in genere.
Per quanto concerne le modalità di restituzione, le pecularietà concernono: a) il tempo di essa, vale a dire la durata del contratto, e b) il c.d. deposito alla rinfusa.
a) Mentre nel comune deposito, in mancanza di accordi circa il tempo della restituzione, ciascuna delle parti, siccome munita di un potere di recesso unilaterale, può pretendere in qualsiasi momento che si faccia luogo alla restituzione (art. 1771), dall'art. 31 del Regolamento sui magazzini generali, secondo cui la durata del deposito non ha limiti di tempo, deriva che, fermo restando il diritto del depositante alla restituzione ad nutum, viceversa non possono mai i magazzini generali obbligarlo ad accettare la restituzione, salva l'ipotesi di cessazione dell'esercizio.
Tale particolarità, riconosciuta dalla dottrina — sia pure talvolta con qualche riserva, relativa al carattere indefinito dell'obbligazione di custodia, che ne deriva — viene giustamente connessa al carattere pubblico del servizio, parallelamente all'obbligo legale di contrarre. Ma il legislatore del codice del '42, uniformandosi ad una prassi molto seguita dalle imprese di magazzini generali (in sede regolamentare), ha attenuato la peculiarità stessa, disponendo, nell'art. 1789, che l'esercente possa procedere alla vendita delle cose depositate, oltre che alla scadenza del contratto, quando, nel deposito a tempo indeterminato, sia decorso un anno dalla data di esso, e quando le merci siano minacciate di deperimento.
Chiarissimo è il buon fondamento della facoltà di vendita in quest'ultima ipotesi, ricavata anch'essa dalla prassi regolamentare; per l'altra, invece, già il Vivante criticava la corrispondente disposizione dei regolamenti d'esercizio, considerandola contraria all'interesse della circolazione dei titoli rappresentativi. A sua giustificazione, tuttavia, oltre alla anomalia dell'indefinita protrazione nel tempo di una obbligazione ad arbitrio del creditore, può addursi l'opportunità di evitare che il deposito nei magazzini generali si allontani dalla sua funzione di operazione ausiliaria della circolazione delle merci - e come tale di carattere provvisorio - tramutandosi in una comune statica misura di conservazione delle stesse.
b) Il deposito nei magazzini generali è frequentemente fatto alla rinfusa, vale a dire con l'autorizzazione al depositario di mescolare o riunire, così confondendole, le merci di un depositante con quelle omogenee di altri, negli stessi recipienti o locali; con la conseguenza che la restituzione a ciascuno dei depositanti avrà per oggetto non le stesse cose da ciascuno depositate, sibbene una corrispondente quantità delle cose che costituiscono la massa formatasi con la pluralità dei depositi.
Questa pratica, diffusasi per le merci di grande omogeneità (per es. grano, petrolio) al fine di economizzare spazio e lavoro, è suscettibile di riscontro anche fuori del campo dei magazzini generali, ha dato luogo al quesito se si tratti di deposito regolare o irregolare. L'opinione prevalente è nel primo senso, per il rilievo che «la proprietà delle cose depositate non passa mai al depositario, e la differenza sta soltanto in ciò che nel deposito alla rinfusa i singoli depositanti, invece di conservare ciascuno il diritto di proprietà separato e indipendente sulle cose proprie, diventano tutti insieme comproprietari dell'unica massa formatasi con la confusione, e ciascuno ha su quella massa comune un diritto di proprietà concorrente col diritto degli altri nella misura della quantità da ciascuno depositata. Il magazzino ha sempre l'obbligo di restituire le stesse cose che gli sono state consegnate, e non può sostituirle con altre dello stesso genere: nel deposito alla rinfusa quest'obbligo non si estende però alla restituzione a ciascuno dei depositanti delle stesse cose depositate, ma è limitato alla consegna a ciascuno di una quantità corrispondente a quella da lui depositata delle cose facenti parte della massa. Quindi i magazzini non diventano mai debitori di genere, ma rimangono sempre debitori di specie, e non sopportano mai le conseguenze del caso fortuito » (Angeloni).
Questo insegnamento va senz'altro accolto, per le seguenti ragioni: 1) l'art. 1782 assume come dato caratteristico del deposito irregolare la facoltà d'uso del depositario, della cui mancanza nel deposito alla rinfusa non può dubitarsi; 2) non si può ammettere la proprietà del depositario né la restituzione del tamtumdem, poiché l'una e l'altra cosa implicherebbero la facoltà di restituire una qualsiasi uguale quantità di cose fungibili, e non necessariamente una parte di una massa determinata; 3) nel deposito alla rinfusa non risulta minimamente alterato il contenuto della custodia, intesa come attività di conservazione materiale; 4) e in definitiva la fungibilità della cosa depositata non assume giuridica rilevanza rispetto al depositario, ma solo nei rapporti tra i più depositanti. Il depositario è soltanto autorizzato, con liberazione da qualsiasi responsabilità per danni, a porre in essere quella situazione di fatto — unione o commistione — dalla quale per virtù di legge (articolo 939) nasce la comunione, ma nei rapporti con ciascun depositante egli conserva la figura di depositario di cose determinate, sia pure non più materialmente ma in funzione della quota di condominio.