L'impossibilità totale e quella parziale
L'articolo in esame deve essere posto in relazione con il 2° comma dell'art. 1256, con l'art. 1258 e con gli articoli 1463 e 1464.
Escludiamo anzitutto un rapporto con il 1° comma dell'art. 1256 che disciplina l'ipotesi di prestazione divenuta impossibile in modo assoluto e definitivo perché, tranne casi specialissimi di appalti, in tema di costruzioni non vediamo l'impossibilità assoluta e definitiva, a meno che non si vada all'idea di un terremoto, di stato di guerra e simili. Ma per tali eventi soccorrono provvidenze speciali, mentre nella normalità una costruzione si può sempre eseguire, perché ad es. un materiale può essere sostituito con un altro.
Viceversa può largamente soccorrere l'applicazione del 2° comma dell'art. 1256, che concerne la temporanea impossibilità, per cui il debitore è esente da responsabilità per il ritardo nell'adempimento. In tema di costruzioni il caso tipico di temporanea impossibilità è il mancato approvvigionamento di materiali dipendente da cause di ordine generale. Se tuttavia, in relazione al titolo dell'obbligazione e alla natura dell'oggetto, l'impossibilità perdura fino a quando il debitore non può ritenersi tenuto ad eseguire la prestazione o il creditore non può più avere interesse a conseguirla, lo stesso comma dichiara estinta l'obbligazione. In tema di costruzione l'obbligazione si può ritenere estinta quando, giunto il termine per l'ultimazione, l'incompiutezza dell'opera è tale che essa risulta inutile per i fini ai quali la destinava il committente. Quali siano le conseguenze di queste prescrizioni non è agevole dire in linea generale, dovendosi tener conto oltre che delle clausole contrattuali, dell'importanza che le parti assegnavano al termine.
Gli articoli 1258, 1463 e 1464 danno le norme generali, per le quali nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione da essa dovuta, non può chiedere la controprestazione ed è tenuta, secondo le regole della ripetizione d'indebito, a restituire quella che abbia già ricevuta.
L'elemento di forza maggiore
Tutte queste norme, da applicare in connessione con quelle che stiamo leggendo nell'art. 1672, portano anzitutto ad accertare che nel verificarsi dell' ipotesi contemplata dalla legge non vi sia responsabilità da una parte e dall'altra nel rendere impossibile la prestazione. In concreto si tratterà di vedere se l'appaltatore (poiché egli deve compiere l'opera, mentre il committente non deve che pagare) abbia, col fatto suo, reso impossibile il compimento dell'opera o se ciò sia avvenuto per ragioni estranee, le quali non si possono concretare se non nell'evento di forza maggiore.
Se il caso fortuito rende impossibile il proseguimento dell'appalto, mentre l'appaltatore non può pretendere rimborso di danni o compensi per mancato utile od anche per impianti di cantiere sproporzionato alla parte di lavoro compiuto, il committente deve per contro riceversi questa parte e pagarne il corrispettivo.
Il codice tuttavia aggiunge che la ricezione dei lavori avviene nei limiti in cui è utile al committente la parte di lavoro compiuto. A prima vista si dovrebbe ritenere che il giudizio se la parte d'opera sia o pur no utile consista in un apprezzamento subiettivo e che il committente possa, a suo arbitrio, dichiarare inutile la parte residua, lasciandola all'appaltatore, senza rimborsargli alcunché del pattuito compenso. Non crediamo però che il codice abbia accordata così sconfinata libertà e, pur ammettendo una parte di elemento subiettivo, è da ritenere che la constatazione da parte del committente possa farsi obiettivamente, tenendo conto, caso per caso, degli elementi che componevano l'intera opera e di quelli che compongono la parte residua. Così di un edificio se si possono dare finiti un certo numero di appartamenti in modo da avere piani completi, non può di certo il committente rifiutarsi di prendere in consegna l'edificio incompleto sotto pretesto che così smozzicato esso ha minore valore venale o può rendere un utile minore di quello sperato.
Determinazione del corrispettivo
Accettata la parte d'opera residua il committente deve rimborsarne il valore in ragione del prezzo pattuito.
Questa proposizione ci porta ad un esame analogo a quello concernente le variazioni e le aggiunte, secondo la discussione svolta nel commentare gli articoli 1659, 1660, 1661. In sostanza anche qui si tratta di indagare per i contratti a corpo quale sia il valore della residua opera rispetto al totale dedotto in contratto.
Mentre per i contratti a misura la determinazione può considerarsi relativamente facile, per quelli a corpo la difficoltà sta nella impossibilità (tecnica ovvero contrattuale) di trasformare il contratto a corpo in contratto a misura e nella conseguente difficile ricerca di rapportare i residui lavori al loro giusto prezzo. Se l'opera è omogenea, come alle volte avviene nei pubblici appalti, il rapporto può essere agevole, ma se invece l'opera è complessa, così come accade in tutti i contratti privati, e se l'assuntore, pur senza malizia, ha compiuto solo i lavori di minor costo, qual è il criterio di valutazione? Ancora: il valore di ammortamento del cantiere e la quota di spese generali non figurano nel contratto, ma pesano sul costo; ora una liquidazione proporzionale alla entità materiale dei lavori, senza discriminazione di qualità può portare ad un costo manifestamente esagerato della parte d'opera che il committente viene ad avere consegnata; mentre la discriminazione della qualità può arrecare all'assuntore un danno ingiustificato.
Tutte queste difficoltà, comuni anche ai pubblici appalti, e che si riflettono anche in tema di varianti ed aggiunte, occorre risolvere con criteri equitativi, procedendo prima ad una proporzione tra lavori appaltati e lavori eseguiti ed introducendo poi nel calcolo elementi moderatori, quali (a beneficio del committente) il manifesto minor valore dei materiali sin qui impiegati, ovvero (a beneficio dell'assuntore) la sproporzione tra le spese di impianto ed i lavori eseguiti.