I due rapporti causa della delegazione ed il funzionamento dei relativi vizi di fronte al delegatario. Lo stato della disciplina e della dottrina sotto il vecchio codice
Le disposizioni di questo articolo rappresentano lo sviluppo organico di quelle rudimentali, monche ed equivoche che si leggevano nel vecchio art. #1278# circa il problema più imponente e difficile del negozio delegativo; quali eccezioni, cioè, possa opporre il delegato al delegatario nell'atto in cui egli dovrebbe adempiere la assunta obbligazione. Come si è già accennato, due sono i rapporti presupposti sui quali si adagia la causa integrale della delegazione (nonché dei negozi analoghi di espromissione ed accollo). Uno è quello originario tra delegante e delegatario, che si sposta da un debitore all'altro e viene chiamato comunemente valuta. Esso è come il lato di un triangolo
che si muove all’esterno e si sposta da un angolo (soggetto) all'altro nel senso inverso alla lancetta di un orologio; fermo, cioè, rimanendo il vertice (creditore delegatario). Ma la ragione economica per cui tale spostamento si attua non può che consistere in un altro preesistente rapporto giuridico tra i due debitori. E’ il cosiddetto rapporto di provvista, perché il delegante, per determinare il delegato ad accettare la delegazione, deve provvederlo, o averlo provveduto, dei fondi occorrenti. Di solito esso consiste in un altro rapporto di debito precedente (creditore il debitore delegante), il quale si viene a saldare indirettamente con la delegazione. Ma può anche risiedere in un contestuale debito che assume il delegante verso il delegato dicendogli sostanzialmente: «assumi tu il debito ed io resto obbligato a rimborsarti». In questo caso la delegazione prenderà più spesso la forma contemplata nell’art. 1269, poiché quello che importa al delegante è solo di assicurarsi l'altrui pagamento alla scadenza. Infine, la causa dello spostamento soggettivo può consistere in una indiretta liberalità che, con tal mezzo, il delegato fa al delegante. Così come, peraltro, simile causa gratuita può avere il rapporto spostantesi, cioè quello di volontà.
Orbene, in tutte queste ipotesi, al momento in cui il delegato viene richiesto per adempiere alla contratta obbligazione uno dei due rapporti sui quali le parti operarono può rivelarsi come affetto da vizi di costituzione organica (incapacità, errore etc.) o causali. Il delegato, specialmente se il rapporto di provvista non c'era od è venuto meno, avrà tutto l'interesse di evitare un pagamento, che almeno provvisoriamente lo danneggia. A tale interesse egli provvede anche opponendo la eventuale nullità della obbligazione originaria tra delegante e delegatario. Comunque, qui è importante apprendere dalla norma di legge a quali eccezioni il delegatario vada soggetto per iniziativa del delegato. E’ chiaro, peraltro, che se le parti hanno espressamente pattuito, all'atto della delegazione, la opponibilità di un dato ordine di eccezioni (rapporto esterno, rapporto interno od ambedue) non sorge alcuna seria difficoltà per l'interprete, fino a quando non ci sia una più che rara norma cogente. Il problema incombente era di sapere in che modo, senza l'espressa pattuizione, si potessero o si dovessero considerare come sufficientemente richiamati i precedenti rapporti ai fini delle opponibilità, contro il delegatario delle relative eccezioni. Quali fossero cioè, le norme dispositive nel silenzio delle parti o di fronte ad un loro equivoco riferimento. In proposito il vecchio codice, come altrove si è già cennato, non conteneva che la unica ed insufficiente norma dell'art. #1278#, il cui preciso riferimento, quanto alla inopponibilità delle cennatevi eccezioni, costituì sempre un rompicapo per l'interprete. Non si capiva bene se si alludesse al rapporto originario (novato) oppure al rapporto di provvista; ed ancora, se la norma fosse applicabile anche alla delegazione attiva (si parlava, infatti, di un «secondo creditore») ed alla delegazione cumulativa. Ne sorse tutta una complicata costruzione dottrinaria circa i concetti di delegazione pura e delegazione titolata, secondo che, alla stregua dei più o meno discutibili elementi, fosse o no opponibile al delegatario il rapporto causa della delegazione. Rimaneva poi nell'ombra ogni altro aspetto del problema riguardante la possibilità di una delegazione liberativa non novativa (con la opponibilità, cioè, delle vecchie eccezioni causali), ed al regolamento analogo della delegazione cumulativa. Così come era assai dubbio se il delegato potesse opporre la nullità del non richiamato rapporto interno, nel caso in cui l'altro rapporto fosse anche esso nullo o gratuito; ed il delegatario venisse quindi a conseguire un arricchimento a danno del delegato indifeso. Per questo ultimo caso il progetto del 1936 aveva inserito una norma nuova (art. 207) della quale gli interpreti avevano ravvisato la equitativa soluzione nel senso che al delegato spettassero sempre le eccezioni se ambedue i rapporti presupposti fossero affetti da nullità. La giurisprudenza più recente vi aveva aggiunto anche il caso in cui uno dei rapporti fosse nullo e l'altro gratuito; seguendo in ciò un antico insegnamento del Pothier.
Le norme espresse dal vecchio codice sui tre ordini di eccezioni. Le eccezioni fondate sul rapporto costitutivo della delegazione
Tale era lo stato delle varie questioni quando la riforma ne impose la soluzione integrale tradotta nelle disposizioni dell'articolo in esame.
Il primo comma afferma la opponibilità delle eccezioni che riguardano i rapporti negoziali personali tra il delegato e il delegatario; cioè, la costituzione e 1a permanenza della dichiarazione di debito nella quale la delegazione va a sboccare. Come per ogni altra obbligazione contrattuale, il debitore può qui opporre la propria incapacità, i vizi della volontà, la simulazione, la estinzione, sempre che riguardino il negozio finale tra lui e il creditore. Sono esclusi i vizi soggettivi ed oggettivi degli altri due presupposti rapporti perché essi non rientrano nell'ambito della norma e sono invece regolati dai due commi successivi. In sostanza, questa prima regola non è che l'applicazione dei principi generali sul contratto, e vi sarebbe egualmente dedotta anche senza la espressa formulazione.
Opponibilità delle eccezioni fondate sul rapporto interno (provvista). La norma negativa e il patto derogativo
Il secondo comma contempla le eccezioni fondate sul rapporto interno di provvista tra delegante e delegato. Comunque sia tale rapporto (pagamento, costituzione di debito, liberalità), e per quanto, il delegatario ne avesse avuto originaria conoscenza (quella sopravvenuta era già indifferente per i principi generali in materia di buona fede), il delegato non può fondarvi le proprie eccezioni per evitare o ritardare il pagamento. Se il delegante non adempie alla controprestazione verso il delegato, se sopravviene una causa risolutiva fra i due, e addirittura era nullo il rapporto medesimo; i1 delegatario pur consapevole, opporrà a suo presidio questa norma ostativa. La quale è fondata sul fatto che, in sostanza, il delegatario non riscuote altro che il suo; cioè, quello che gli spettava in base all'originario rapporto con i1 delegante. Lo riscuoterà dall'uno piuttosto che dall'altro; ma la presunzione di legge nel silenzio delle parti, è che il delegato si sia riservato soltanto l'eventuale regresso contro il delegante. Tali conseguenze si verificano in qualunque specie di delegazione poiché la norma non contiene esclusioni o limitazioni relativamente alle precedenti e ricomprese forme delegative. Vi rientra quindi la delegazione cumulativa come quella liberativa; ed è compresa anche la ipotesi in cui il delegato si sia obbligato di propria iniziativa in base alla semplice delegazione di pagamento (art. 1269, comma 1°). Due sono le espresse eccezioni contro tale regola: a) che le parti abbiano diversamente pattuito; b) che, insieme con i vizi abolitivi del rapporto in questione concorra la nullità del rapporto base tra delegante e delegatario.
La prima eccezione contempla la cosiddetta delegazione titolata; cioè a dire, condizionata alla sorte del rapporto di provvista. Il delegato, dice al delegatario: «io adempirò soltanto se va a buon fine la provvista che mi ha prestata, mi presta o mi presterà il delegante per assumere la presente obbligazione». Con tale forma di assunzione di debito si rientra sostanzialmente nel campo delle obbligazioni condizionali, poiché essa è contestualmente autolimitata dall’evento che riguarda l'altra obbligazione interna del delegante. Se, ad esempio, si tratta di un prezzo di vendita dovuto dal delegato, l'inadempienza corrispettiva del venditore delegante potrà essere opposta al delegatario come una vera e propria condizione mancata. In questa ipotesi è presumibile che venga stipulata la delegazione cumulativa normale contemplata dall’art. 1268. Non conviene certamente al delegatario liberare il proprio incondizionato debitore per acquistare un altro sotto condizione. Ma se la liberazione espressa c'è stata, al delegatario non basterà eventualmente richiedere senz'altro al delegato il pagamento (il che è previsto solo per la ipotesi dell'art. 1268 comma 2°) , ma dovrà escutere il nuovo debitore, che è l’unico attualmente rimastogli in base al rapporto delegativo. Soltanto a processo negativamente ultimato, ovvero anche con una chiamata in garanzia per il previsto pericolo dell'inadempienza, egli potrà rivolgersi contro il vecchio debitore delegante che non ha pagato nè a lui nè al delegato, e che, per i principi sulla nullità della solutio, riprenderà la sua veste di debitore. La soluzione qui è analoga a quella che si esaminerà nel commento dell'art. 1276. Anzi è più ovvia; al punto che la legge non ha inteso, come in quel caso, il bisogno di regolarla espressamente. Onde sarà applicabile anche la norma sulla non reviviscenza delle estinte garanzie.
L’altro caso eccezionale di opponibilità e la sua integrale interpretazione
La seconda cennata ipotesi in cui il delegato viene autorizzato ad opporre al delegatario la mancanza o la nullità della provvista (concorrente nullità della obbligazione originaria tra delegante e delegatario) deriva da una antica tradizione che risale al Pothier e si appoggia su di una evidente ragione di equità. Se, infatti, l’obbligazione originaria era nulla e nel contempo si contesta l’esistenza del rapporto di provvista, il delegatario non viene più a riscuotere quel che
gli era da qualcuno dovuto, ma verrebbe ad arricchirsi a danno dell’uno o dell'altro. Ciò, d'altronde, si verificherebbe soltanto provvisoriamente, in quanto, mancato il rapporto interno, il delegato, se fosse costretto a pagare, si rivolgerebbe senz'altro contro il proprio contraente obbligato alla provvista, cioè contro il delegante; e questi, a sua volta, acquisterebbe il diritto di ripetere dal delegatario quanto gli aveva fatto versare indebitamente dal proprio delegato. Il lungo giro di queste due azioni di regresso si evita appunto con la norma del secondo comma, la quale attribuisce direttamente al delegato il diritto di dedurre la nullità della obbligazione originaria verso il delegatario come presupposto necessario e sufficiente delle eccezioni fondate sul rapporto interno di provvista, altrimenti inopponibile.
La norma in esame parla di nullità dell'originario rapporto tra delegante e delegatario (la c.d. valuta). Ormai tale nozione è stata precisata nell'art. 1418 e segg. in contrapposto alle cause di annullamento contemplate nel successivo capo XII. Per queste ultime, infatti, le eccezioni personali spettano esclusivamente all'originario contraente del creditore; e perciò l'estraneo delegato, se manca il rapporto di provvista, dovrà pagare, salvo a rivolgersi contro il delegante. E costui, a sua volta, potrà o meno risollevare quelle eccezioni in sede di ripetizione a seconda che il già stipulato contratto delegativo escluda o contenga la convalida per parte dello stesso delegante. Le eccezioni del rapporto di provvista, normalmente inopponibili al delegatario, sono quelle che tendono a dedurre la mancanza originaria e sopravvenuta del corrispettivo interno. E’ un rischio contrattuale che ha assunto il delegato e dal quale resta immune il pur consapevole delegatario. Ma se si tratta, invece, di un rapporto fondato su causa illecita, la precisa e contestuale consapevolezza del delegatario lo esporrebbe alla efficace eccezione del delegato, perché allora la delegazione è servita soltanto per eludere la legge proibitiva e per passare in testa al delegatario un credito per il quale veniva negata l'azione. La conoscenza, in tal caso, è partecipazione diretta e necessaria alla consumazione della frode alla legge; la quale frode omnia connupit, è quindi anche il negozio delegativo.
Le eccezioni relative al rapporto originario (valuta). La loro normale inopponibilità e l’eccezionale opponibilità
Il terzo ordine di eccezioni, che possono venire in funzione nel complesso rapporto delegativo, è quello contemplato nel terzo comma. Esse attengono al rapporto originario di valuta tra delegante e delegatario e trovano anche ostacolo nella norma negativa. E’ il fenomeno normalmente, se non necessariamente, novativo che nel vecchio codice si verificava con la liberazione del delegante, mentre nel nuovo si ha con qualunque specie di delegazione di debito e quindi anche con quella cumulativa contemplata con ipotesi normale nell'art. 1268. Se, infatti, il delegato ha ricevuto la provvista, non può avere alcun interesse e quindi alcun diritto, a dedurre quella nullità che riguardava solo il contraente del creditore. Se non l'ha ricevuta, o è venuta meno, entra in funzione la norma del comma precedente; e quindi il delegato potrà dedurre soltanto la eventuale nullità, del rapporto originario come presupposto per opporre la mancanza di provvista. Che se, invece, si tratta di semplici eccezioni causali contro il delegatario (il quale, ad esempio, abbia commesso una inadempienza corrispettiva e risolutiva, il delegato, pure essendogli mancata la provvista, non le potrà opporre proprio in forza della norma in esame, e dovrà pagare salvo il regresso contro il delegante.
Perché il delegato possa opporre senza limitazioni le eccezioni del rapporto originario occorre che le parti vi abbiano fatto «espresso riferimento» all'atto della delegazione. Così si esprime qui la norma con una locuzione alquanto diversa da quella del secondo comma, ove si dice «se le parti non abbiano diversamente pattuito». Basta, dunque, l'espresso richiamo anche senza la opposita pattuizione, perché la obbligazione originaria passi in testa al delegato con tutto il bagaglio passivo delle eccezioni causali. Questo esplicito riferimento secondo la interpretazione penetrante delle clausole contrattuali, deve rivelare una chiara volontà, del delegato di rimanere obbligato nel modo preciso come era (o come rimane anche esso nella delegazione cumulativa) obbligato il delegante. E così, se nel momento della scadenza il delegatario (ad esempio, venditore di merce) è esposto a delle eccezioni dilatorie o risolutive, queste spettano anche esse al delegato. Certo è questa una ipotesi di delegazione anormale; la quale, se c'è stata la liberazione del delegante, viene a realizzare una vera e propria successione nel debito, e se si tratta di delegazione cumulativa si traduce
sostanzialmente in una fideiussione solidale. Il delegatario sostituisce od aggiunge un altro debitore che lo garantisce di più per correntezza o per solvibilità. Tanto è vero che, salvo inopinabili relazioni, il delegato in questa ipotesi, non riceve la provvista ma si riserva solo il regresso e si garantisce intanto con quelle eccezioni che spettano ad ogni garante personale e solidale.