Il nuovo c.c., riproducendo letteralmente la disposizione dell'art. #95#, dalla quale risultava lo speciale carattere del consenso matrimoniale, e rinnovando così il divieto di celebrare il matrimonio quando le parti volessero, del tutto illecitamente, apporre termini o condizioni, aggiunge la disposizione innovatrice espressa nell'ultima parte del cpv. per la quale, se anche una condizione o un termine risultassero dall'atto stesso del matrimonio, questo sarebbe sempre valido, perché termine e condizione si dovrebbero ritenere come
non apposti.
È noto che, nella vigenza del c.c. del 1865 era controverso - in dottrina - se nel caso, a dir vero niente affatto probabile, in cui, nonostante l'esplicita apposizione di termini o di condizioni, l'ufficiale dello stato civile avesse proceduto alla celebrazione del matrimonio, questo sarebbe stato valido o no. Prevaleva l'opinione negativa imposta sia dal rigore dei principii sia dallo stesso rispetto dovuto alla duplice tassativa disposizione della legge che, affermato dapprima il principio, poneva poi il rigoroso, assoluto divieto di violarlo.
Il nuovo c.c. volle accogliere la soluzione contraria, onde la disposizione dell'ultima parte del cpv. dell'art. 108 comma 2.
Questa disposizione è dettata per il caso in cui dell'illecita apposizione risulti dall'atto stesso del matrimonio. Infatti, se da tale atto non risulti di termini o di condizioni, non si potrebbe dubitare che il consenso manifestato fu puro e semplice, ossia quale venne richiesto. Precisamente a questo fine la legge prescrive che il consenso al matrimonio venga agli sposi richiesto dall'ufficiale dello stato civile. Nè sarebbero, nel nostro diritto, ammissibili prove contrarie. La disposizione di cui trattiamo, dunque, ha per presupposto che un ufficiale dello stato civile celebri un matrimonio dal cui atto espressamente risultino apposti termini o condizioni. Tuttavia, non appare ammissibile un tale presupposto, e perciò è da ritenere che tale disposizione otterrà una scarsa applicazione.
Ad ogni modo, volendo dare una giustificazione razionale della disposizione, si potrebbe osservare che, non dovendo gli sposi ignorare il principio elementare e fondamentale che il consenso al matrimonio non può essere sottoposto a termini o a condizioni, celebrando il matrimonio e firmando il relativo atto, in sostanza, vengono a rinunziare tacitamente alla condizione o al termine illecitamente apposto.
Si sarebbe voluta eliminare la contraddizione tra le due volontà, ossia tra quella di voler apporre termini o condizioni e l'altra di voler validamente celebrare un matrimonio, presumendo attraverso una
praesumptio iuris et de iure una implicita rinunzia alla illecita apposizione, giuridicamente incompatibile con la seguita celebrazione. Presunta la rinunzia, il termine e la condizione si possono ritenere come non apposti.