Cass. civ. n. 21956/2010
In tema di IVA, la non imponibilità delle cessioni all'esportazione effettuate nei confronti degli esportatori abituali (c.d. esportazioni indirette), prevista dall'art. 8, comma 1, lett. c) del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, è subordinata, nella disciplina del D.L. 29 dicembre 1983, n. 746, convertito in legge 27 febbraio 1984, n. 17, all'emissione di apposita "dichiarazione d'intento" da parte dell'esportatore (art. 1, comma 1, lett. c) ed il soggetto cedente, una volta riscontratane la conformità alle disposizioni di legge, non è tenuto ad eseguire alcun altro controllo, rimanendo totalmente a carico di chi emette tale dichiarazione la responsabilità, anche penale, derivante da un'eventuale falsità. Ne consegue che, quando la dichiarazione stessa esista e non sia ideologicamente falsa o, comunque, il cedente non sia consapevole di tale falsità (cioè non abbia la consapevolezza che l'operazione non è destinata all'esportazione, ma ha una destinazione nazionale), per quest'ultimo l'operazione deve ritenersi non imponibile, a prescindere dalla prova dell'effettiva avvenuta esportazione della merce. (cassa e decide nel merito, Comm. Trib. Reg. Milano, 11/04/2007).
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Il tema di IVA, l'esportazione "triangolare", per essere considerata operazione esente da IVA, ai sensi dell'art. 8, comma 1, lett. a), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, non presuppone necessariamente che vi sia la prova che il trasporto al di fuori del territorio della Comunità sia avvenuto a cura e nome del cedente, quanto piuttosto che, fin dalla sua origine e nella sua rappresentazione documentale, sia stata voluta come cessione interna in vista del trasporto a cessionario non comunitario, nel senso che tale destinazione sia riferibile alla comune volontà degli originari contraenti. L'onere di fornire la prova dell'avvenuta esportazione incombe, comunque, (anche) sul primo cedente, il quale deve dimostrare, senza che siano ammessi equipollenti, l'avvenuta uscita della merce dal territorio doganale della Comunità. (Nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto che, trattandosi di cessione di beni a società di diritto inglese con destinatario finale un cliente russo, il cedente italiano per beneficiare dell'esenzione dell'IVA doveva fornire le prove dell'esportazione, secondo la disciplina vigente all'epoca, a mezzo dell'esemplare 3 del DAU - Documento Amministrativo Unico - munito del timbro e del visto dell'ufficio doganale di uscita). (cassa e decide nel merito, Comm. Trib. Reg. Milano, 11/04/2007).
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In materia di imposta sul valore aggiunto (IVA), il termine previsto, (novanta giorni dalla consegna") dall'art. 8, comma 1, lett. b) del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ai fini della non imponibilità della cessione all'esportazione con trasporto o spedizione fuori del territorio della Comunità effettuati a cura o a nome dell'acquirente estero (c.d. esportazioni improprie), ha natura perentoria, costituendo un requisito per l'applicazione di un regime eccezionale di non imponibilità. (cassa e decide nel merito, Comm. Trib. Reg. Milano, 11/04/2007).
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In tema di contenzioso tributario, l'art.
6, comma 4, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (c.d.
Statuto del contribuente) - per il quale al contribuente non possono essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell'amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente, dovendo tali documenti ed informazioni essere acquisiti ai sensi dell'art. 18, commi 2 e 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241 - costituisce espressione di un principio generale, applicabile anche al processo tributario, che presuppone, che la documentazione sia già sicuramente in possesso dell'amministrazione finanziaria o che, comunque, il contribuente dichiari e provi l'avvenuta trasmissione del documento all'amministrazione medesima (ad esempio, in sede di dichiarazione dei redditi, o di istanza di rimborso). (cassa e decide nel merito, Comm. Trib. Reg. Milano, 11/04/2007).