AUTORE:
Sophia Sfalanga
ANNO ACCADEMICO: 2022
TIPOLOGIA: Tesi di Laurea Magistrale
ATENEO: Universitą degli Studi di Palermo
FACOLTÀ: Giurisprudenza
ABSTRACT
La Costituzione italiana sancisce all’art. 27, comma 2, che "le pene devono tendere alla rieducazione del condannato". Sebbene nell’ambito della dottrina penalistica si riconoscano diverse teorie circa il finalismo della pena, la Costituzione italiana, almeno in linea di principio, sposa la teoria del finalismo rieducativo. Di conseguenza, è questo il presupposto essenziale e irrinunciabile da cui si deve partire quando si parla di pene e del loro obiettivo finale all’interno dell’ordinamento italiano.
Il concetto di pena sta alla base dello studio del diritto penale e della criminologia, ed è la chiave di volta del giudice nello svolgimento della sua funzione di arbitro tra il “bene” e il “male”.
Oggetto di questo lavoro di tesi è l’analisi della tensione evolutiva che il concetto di rieducazione, così come espresso in Costituzione, ha subito e continua a subire con importanti conseguenze dal punto di vista pratico.
Chiunque voglia oggi studiare le norme, gli organi, le modalità di esecuzione della pena non può fare a meno di porsi preliminarmente il problema del rapporto fra pena ed essere umano; ovvero inquadrare il tema della pena e delle modalità di esecuzione in un contesto giuridico e culturale più ampio, condizionato, in particolare negli ultimi settant’anni, dalla duplice tutela costituzionale e internazionale dei diritti umani. L’interpretazione di quel principio è qualcosa di mobile, che si muove insieme alla società che cambia, alle necessità che la dottrina intercetta, soprattutto in relazione al cambiamento politico-sociale dettato dagli stravolgimenti storici ed economici della storia d’Italia.
La riflessione attorno alla pena, è una costante nella storia del diritto penale. Lo studio alla base di questo lavoro parte proprio dall’evoluzione storica delle teorie attorno alla pena, spingendosi fino alla tragica constatazione di come insufficienti o false giustificazioni della pena hanno conquistato la trattatistica fino ad un rifiuto quasi totale rispetto agli scopi che le sono storicamente stati attribuiti. Da qui l’allontanamento dalla “dolcezza” delle pene, denotando come il leit motiv del legislatore negli ultimi anni, per far fronte ad inconsistenti situazioni di emergenza, sia stata l’emanazione di norme penali sempre più severe.
Nel secondo capitolo si analizzano poi gli strumenti normativi adottati dal legislatore italiano nel rispetto del dettato costituzionale ponendo attenzione sul rispetto della dignità dell’uomo nello svolgimento della pena, e sul finalismo rieducativo.
È stato fondamentale dunque partire dalla legge 354/1975, pietra miliare dell’ordinamento penitenziario, con la quale inizia il percorso di umanizzazione della pena. Si è analizzato l’inasprimento della disciplina nelle fasi emergenziali dettate dal dilagare del terrorismo, prima, e del pervasivo fenomeno della criminalità organizzata, poi. Questi periodi bui della democrazia italiana hanno portato alla cancellazione di determinate garanzie per il reo nell’esecuzione della pena, provocando non pochi contrasti con la Carta costituzionale.
Si è poi sottolineato come fondamentale risulti essere il rispetto della dignità umana focalizzando l’attenzione su come, soprattutto nell’ultimo ventennio, le condizioni della pena detentiva non riescano più a soddisfare le condizioni minime di rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo. Condizioni già precarie, aggravate dagli effetti della pandemia da Covid-19 che ha provocato un numero molto alto di contagi.
Il terzo capitolo si sofferma su quelle che sono nel concreto le misure predisposte a servizio della rieducazione, quali le misure alternative alla detenzione e tutto ciò che concerne il trattamento penitenziario in sè, organizzato in modo tale da evitare una infantilizzazione del detenuto, per spronarlo al contrario ad una responsabilizzazione. In collegamento a ciò, si considerano le problematiche dettate dagli articoli 4 bis e 41 bis della Legge sull'ordinamento penitenziario, alla base del concetto di doppio binario penitenziario.
Infine, nell’ultimo capitolo, partendo dai tassi di recidiva, si analizzano i tentavi che negli ultimi anni hanno cercato di svecchiare la disciplina, a partire dalla "Riforma Orlando", per finire de iure condendo con la "Riforma Cartabia", che tenta l’approdo alla cosiddetta giustizia riparativa, da tempo auspicata anche dagli indirizzi e dalle spinte che arrivano d’Oltralpe.
Dall’analisi complessiva del lavoro si può evincere come cifra fondamentale sia la rilevazione delle criticità che ad oggi si possono osservare relativamente alla disciplina normativa in materia di esecuzione delle pene, con uno sguardo attento alle concrete condizioni di detenzione che talvolta non rispettano i principi fondamentali dell’uomo. L’intento è quello di uno studio che non si fermi al diritto scollato dalla realtà, ma che, al contrario, parta dalla osservazione della realtà per confluire poi nel diritto come strumento principe di garanzia.
Il concetto di pena sta alla base dello studio del diritto penale e della criminologia, ed è la chiave di volta del giudice nello svolgimento della sua funzione di arbitro tra il “bene” e il “male”.
Oggetto di questo lavoro di tesi è l’analisi della tensione evolutiva che il concetto di rieducazione, così come espresso in Costituzione, ha subito e continua a subire con importanti conseguenze dal punto di vista pratico.
Chiunque voglia oggi studiare le norme, gli organi, le modalità di esecuzione della pena non può fare a meno di porsi preliminarmente il problema del rapporto fra pena ed essere umano; ovvero inquadrare il tema della pena e delle modalità di esecuzione in un contesto giuridico e culturale più ampio, condizionato, in particolare negli ultimi settant’anni, dalla duplice tutela costituzionale e internazionale dei diritti umani. L’interpretazione di quel principio è qualcosa di mobile, che si muove insieme alla società che cambia, alle necessità che la dottrina intercetta, soprattutto in relazione al cambiamento politico-sociale dettato dagli stravolgimenti storici ed economici della storia d’Italia.
La riflessione attorno alla pena, è una costante nella storia del diritto penale. Lo studio alla base di questo lavoro parte proprio dall’evoluzione storica delle teorie attorno alla pena, spingendosi fino alla tragica constatazione di come insufficienti o false giustificazioni della pena hanno conquistato la trattatistica fino ad un rifiuto quasi totale rispetto agli scopi che le sono storicamente stati attribuiti. Da qui l’allontanamento dalla “dolcezza” delle pene, denotando come il leit motiv del legislatore negli ultimi anni, per far fronte ad inconsistenti situazioni di emergenza, sia stata l’emanazione di norme penali sempre più severe.
Nel secondo capitolo si analizzano poi gli strumenti normativi adottati dal legislatore italiano nel rispetto del dettato costituzionale ponendo attenzione sul rispetto della dignità dell’uomo nello svolgimento della pena, e sul finalismo rieducativo.
È stato fondamentale dunque partire dalla legge 354/1975, pietra miliare dell’ordinamento penitenziario, con la quale inizia il percorso di umanizzazione della pena. Si è analizzato l’inasprimento della disciplina nelle fasi emergenziali dettate dal dilagare del terrorismo, prima, e del pervasivo fenomeno della criminalità organizzata, poi. Questi periodi bui della democrazia italiana hanno portato alla cancellazione di determinate garanzie per il reo nell’esecuzione della pena, provocando non pochi contrasti con la Carta costituzionale.
Si è poi sottolineato come fondamentale risulti essere il rispetto della dignità umana focalizzando l’attenzione su come, soprattutto nell’ultimo ventennio, le condizioni della pena detentiva non riescano più a soddisfare le condizioni minime di rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo. Condizioni già precarie, aggravate dagli effetti della pandemia da Covid-19 che ha provocato un numero molto alto di contagi.
Il terzo capitolo si sofferma su quelle che sono nel concreto le misure predisposte a servizio della rieducazione, quali le misure alternative alla detenzione e tutto ciò che concerne il trattamento penitenziario in sè, organizzato in modo tale da evitare una infantilizzazione del detenuto, per spronarlo al contrario ad una responsabilizzazione. In collegamento a ciò, si considerano le problematiche dettate dagli articoli 4 bis e 41 bis della Legge sull'ordinamento penitenziario, alla base del concetto di doppio binario penitenziario.
Infine, nell’ultimo capitolo, partendo dai tassi di recidiva, si analizzano i tentavi che negli ultimi anni hanno cercato di svecchiare la disciplina, a partire dalla "Riforma Orlando", per finire de iure condendo con la "Riforma Cartabia", che tenta l’approdo alla cosiddetta giustizia riparativa, da tempo auspicata anche dagli indirizzi e dalle spinte che arrivano d’Oltralpe.
Dall’analisi complessiva del lavoro si può evincere come cifra fondamentale sia la rilevazione delle criticità che ad oggi si possono osservare relativamente alla disciplina normativa in materia di esecuzione delle pene, con uno sguardo attento alle concrete condizioni di detenzione che talvolta non rispettano i principi fondamentali dell’uomo. L’intento è quello di uno studio che non si fermi al diritto scollato dalla realtà, ma che, al contrario, parta dalla osservazione della realtà per confluire poi nel diritto come strumento principe di garanzia.