AUTORE:
Domenico Cautela
ANNO ACCADEMICO: 2020
TIPOLOGIA: Tesi di Laurea Magistrale
ATENEO: Universitą degli Studi di Messina
FACOLTÀ: Giurisprudenza
ABSTRACT
Nel mio lavoro di tesi ho cercato di ricostruire uno dei più dibattuti istituti processuali introdotti dal legislatore italiano negli ultimi anni: l’inammissibilità dell’appello ai sensi degli artt. 348 bis e 348 ter del Codice di procedura civile introdotta con il D.L. 83/12 poi convertito nella L. 134/12.
Nel primo capitolo ho dedicato un’attenzione particolare alla genesi legislativa dell’istituto che, come rilevato da amplissima dottrina processualcivilistica, trova le sue radici, in via esclusiva, nello "ZPO tedesco", nonostante i richiami all’ordinamento britannico rilevabili dalla Relazione Illustrativa alla proposta di legge.
Nel prosieguo del lavoro ho cercato di ricostruire la disciplina dettata dalle due norme di riferimento - artt. 348-bis e ter c.p.c. - non soltanto alla luce delle interpretazioni dottrinali coeve alla promulgazione del decreto legge ma anche, e soprattutto, alla luce della giurisprudenza, di merito e di legittimità, che nel corso del tempo ha dovuto dare applicazione al nuovo microsistema normativo risolvendone, ancorché parzialmente, i numerosi nodi problematici che avevano condotto la dottrina, ritengo scorrettamente, a dubitare addirittura della tenuta costituzionale del filtro in appello.
In ultimo ho cercato di focalizzare il mio studio su quella che ritengo la più grave delle violazioni di regole processuali commessa dal legislatore con l’introduzione della disciplina in esame: l’utilizzo del concetto dell’inammissibilità processuale per riferirsi ad una pronuncia in merito compiuta dal giudice d’appello attraverso l’applicazione dell’art. 348-bis c.p.c.. Per far ciò ho, seppur sommariamente, ricostruito il dogma dell’inammissibilità processuale per poi rilevare le incongruenze che rispetto a quest’ultimo presenta la dichiarazione d’inammissibilità dell’appello ai sensi del nuovo microsistema normativo.
Nel primo capitolo ho dedicato un’attenzione particolare alla genesi legislativa dell’istituto che, come rilevato da amplissima dottrina processualcivilistica, trova le sue radici, in via esclusiva, nello "ZPO tedesco", nonostante i richiami all’ordinamento britannico rilevabili dalla Relazione Illustrativa alla proposta di legge.
Nel prosieguo del lavoro ho cercato di ricostruire la disciplina dettata dalle due norme di riferimento - artt. 348-bis e ter c.p.c. - non soltanto alla luce delle interpretazioni dottrinali coeve alla promulgazione del decreto legge ma anche, e soprattutto, alla luce della giurisprudenza, di merito e di legittimità, che nel corso del tempo ha dovuto dare applicazione al nuovo microsistema normativo risolvendone, ancorché parzialmente, i numerosi nodi problematici che avevano condotto la dottrina, ritengo scorrettamente, a dubitare addirittura della tenuta costituzionale del filtro in appello.
In ultimo ho cercato di focalizzare il mio studio su quella che ritengo la più grave delle violazioni di regole processuali commessa dal legislatore con l’introduzione della disciplina in esame: l’utilizzo del concetto dell’inammissibilità processuale per riferirsi ad una pronuncia in merito compiuta dal giudice d’appello attraverso l’applicazione dell’art. 348-bis c.p.c.. Per far ciò ho, seppur sommariamente, ricostruito il dogma dell’inammissibilità processuale per poi rilevare le incongruenze che rispetto a quest’ultimo presenta la dichiarazione d’inammissibilità dell’appello ai sensi del nuovo microsistema normativo.