AUTORE:
Eleonora Gaballo
ANNO ACCADEMICO: 2025
TIPOLOGIA: Tesi di Laurea (vecchio ordinamento)
ATENEO: Universitą degli Studi di Roma La Sapienza
FACOLTÀ: Giurisprudenza
ABSTRACT
Nella mia tesi ho approfondito il tema del reato di associazione di tipo mafioso ex art. 416 bis c.p., con un focus sulla figura del concorso esterno in associazione mafiosa e sull’evoluzione interpretativa che ha portato alla significativa sentenza Mannino, la quale ha inciso profondamente su questo costrutto giurisprudenziale.
L’art. 416-bis è stato introdotto nel nostro ordinamento nel 1982, con la legge n. 646/1982 (nota come legge Rognoni-La Torre), in risposta all’esigenza di contrastare in modo più incisivo la criminalità organizzata di stampo mafioso. A differenza del reato associativo comune, l’articolo 416-bis definisce l’associazione mafiosa in base a tre elementi distintivi: l’esistenza di un vincolo associativo stabile, l’uso del metodo mafioso, fondato sulla forza di intimidazione, l’assoggettamento e l’omertà, l’obiettivo di influenzare o controllare attività economiche, appalti, pubbliche amministrazioni o consultazioni elettorali.
Questa norma ha segnato una svolta fondamentale, permettendo di perseguire non solo i reati singoli, ma l’organizzazione criminale nella sua interezza, anche attraverso l’utilizzo di misure di prevenzione patrimoniale. Successivamente all’introduzione del 416-bis, la giurisprudenza ha sviluppato la figura del concorso esterno in associazione mafiosa, allo scopo di colmare un vuoto applicativo: quello dei soggetti che, pur non essendo formalmente affiliati all’organizzazione mafiosa, offrono un contributo rilevante e consapevole alla sua attività criminale.
Questa figura si basa sull'applicazione dell’art. 110 c.p. al reato associativo. Secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza, per configurare il concorso esterno sono richiesti due elementi fondamentali: un contributo causale concreto, specifico, volontario e consapevole alla conservazione o al rafforzamento dell’associazione mafiosa; l’assenza del vincolo di appartenenza, cioè del requisito soggettivo tipico dell’affiliato, che implica un’assunzione di obblighi stabili verso l’organizzazione.
Si tratta quindi di un soggetto esterno, ma determinante, spesso appartenente a mondi come la politica, l’imprenditoria o la pubblica amministrazione, che agisce con finalità convergenti con quelle del sodalizio mafioso.
Questa ricostruzione ha suscitato numerose critiche in dottrina, soprattutto con riferimento al principio di legalità (art. 25, comma 2, Cost.) e al principio di tassatività, in quanto si tratta di una figura non espressamente prevista dal legislatore, ma costruita attraverso l’interpretazione estensiva della norma.
In questo contesto si inserisce la nota vicenda giudiziaria dell’on. Calogero Mannino, imputato per concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito del più ampio processo sulla cosiddetta “trattativa Stato-mafia”. Dopo un lungo iter giudiziario, la Corte d’Appello di Palermo ha assolto l’imputato, assolto poi anche in Cassazione con la sentenza n. 33748/2022, la quale ha confermato l’insufficienza del quadro probatorio e ha ribadito la necessità di una prova concreta del contributo causale del soggetto esterno alla vita dell’associazione.
Questa pronuncia assume particolare rilievo perché ha riaffermato due principi essenziali: la necessità di evitare che il concorso esterno diventi un reato a struttura indeterminata, punendo condotte ambigue o relazioni opache senza prova di una vera collaborazione rafforzativa dell’associazione; il richiamo alla certezza del diritto e alla prevedibilità dell’applicazione della legge penale, in linea con la giurisprudenza della Corte EDU.
Con la sentenza Mannino, dunque, la Corte ha richiamato l’attenzione sulla necessità di un equilibrio tra la tutela dell’ordine pubblico e i principi fondamentali del diritto penale, evitando derive eccessivamente punitive basate su presunzioni o inferenze deboli.
In conclusione, l’evoluzione della figura del concorso esterno in associazione mafiosa dimostra quanto sia delicato il rapporto tra necessità di contrasto alla criminalità organizzata e garanzie costituzionali del diritto penale. La sentenza Mannino ha segnato un momento di riflessione e di riequilibrio: ha limitato il rischio di una eccessiva elasticità del concorso esterno, riaffermando che la lotta alla mafia deve svolgersi nel rispetto rigoroso del principio di legalità e delle garanzie individuali.
L’art. 416-bis è stato introdotto nel nostro ordinamento nel 1982, con la legge n. 646/1982 (nota come legge Rognoni-La Torre), in risposta all’esigenza di contrastare in modo più incisivo la criminalità organizzata di stampo mafioso. A differenza del reato associativo comune, l’articolo 416-bis definisce l’associazione mafiosa in base a tre elementi distintivi: l’esistenza di un vincolo associativo stabile, l’uso del metodo mafioso, fondato sulla forza di intimidazione, l’assoggettamento e l’omertà, l’obiettivo di influenzare o controllare attività economiche, appalti, pubbliche amministrazioni o consultazioni elettorali.
Questa norma ha segnato una svolta fondamentale, permettendo di perseguire non solo i reati singoli, ma l’organizzazione criminale nella sua interezza, anche attraverso l’utilizzo di misure di prevenzione patrimoniale. Successivamente all’introduzione del 416-bis, la giurisprudenza ha sviluppato la figura del concorso esterno in associazione mafiosa, allo scopo di colmare un vuoto applicativo: quello dei soggetti che, pur non essendo formalmente affiliati all’organizzazione mafiosa, offrono un contributo rilevante e consapevole alla sua attività criminale.
Questa figura si basa sull'applicazione dell’art. 110 c.p. al reato associativo. Secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza, per configurare il concorso esterno sono richiesti due elementi fondamentali: un contributo causale concreto, specifico, volontario e consapevole alla conservazione o al rafforzamento dell’associazione mafiosa; l’assenza del vincolo di appartenenza, cioè del requisito soggettivo tipico dell’affiliato, che implica un’assunzione di obblighi stabili verso l’organizzazione.
Si tratta quindi di un soggetto esterno, ma determinante, spesso appartenente a mondi come la politica, l’imprenditoria o la pubblica amministrazione, che agisce con finalità convergenti con quelle del sodalizio mafioso.
Questa ricostruzione ha suscitato numerose critiche in dottrina, soprattutto con riferimento al principio di legalità (art. 25, comma 2, Cost.) e al principio di tassatività, in quanto si tratta di una figura non espressamente prevista dal legislatore, ma costruita attraverso l’interpretazione estensiva della norma.
In questo contesto si inserisce la nota vicenda giudiziaria dell’on. Calogero Mannino, imputato per concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito del più ampio processo sulla cosiddetta “trattativa Stato-mafia”. Dopo un lungo iter giudiziario, la Corte d’Appello di Palermo ha assolto l’imputato, assolto poi anche in Cassazione con la sentenza n. 33748/2022, la quale ha confermato l’insufficienza del quadro probatorio e ha ribadito la necessità di una prova concreta del contributo causale del soggetto esterno alla vita dell’associazione.
Questa pronuncia assume particolare rilievo perché ha riaffermato due principi essenziali: la necessità di evitare che il concorso esterno diventi un reato a struttura indeterminata, punendo condotte ambigue o relazioni opache senza prova di una vera collaborazione rafforzativa dell’associazione; il richiamo alla certezza del diritto e alla prevedibilità dell’applicazione della legge penale, in linea con la giurisprudenza della Corte EDU.
Con la sentenza Mannino, dunque, la Corte ha richiamato l’attenzione sulla necessità di un equilibrio tra la tutela dell’ordine pubblico e i principi fondamentali del diritto penale, evitando derive eccessivamente punitive basate su presunzioni o inferenze deboli.
In conclusione, l’evoluzione della figura del concorso esterno in associazione mafiosa dimostra quanto sia delicato il rapporto tra necessità di contrasto alla criminalità organizzata e garanzie costituzionali del diritto penale. La sentenza Mannino ha segnato un momento di riflessione e di riequilibrio: ha limitato il rischio di una eccessiva elasticità del concorso esterno, riaffermando che la lotta alla mafia deve svolgersi nel rispetto rigoroso del principio di legalità e delle garanzie individuali.