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Articolo 8 Nuovo Codice Appalti (D. Lgs. 36/2023)

(D.lgs. 31 marzo 2023, n. 36)

[Aggiornato al 21/05/2025]

Principio di autonomia contrattuale. Divieto di prestazioni d'opera intellettuale a titolo gratuito

Dispositivo dell'art. 8 Nuovo Codice Appalti (D. Lgs. 36/2023)


1. Nel perseguire le proprie finalità istituzionali le pubbliche amministrazioni sono dotate di autonomia contrattuale e possono concludere qualsiasi contratto, anche gratuito, salvi i divieti espressamente previsti dal codice e da altre disposizioni di legge.

2. Le prestazioni d’opera intellettuale non possono essere rese dai professionisti gratuitamente, salvo che in casi eccezionali e previa adeguata motivazione. Salvo i predetti casi eccezionali, la pubblica amministrazione garantisce comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso secondo le modalità previste dall'articolo 41, commi 15-bis, 15-ter e 15-quater(1).

3. Le pubbliche amministrazioni possono ricevere per donazione beni o prestazioni rispondenti all’interesse pubblico senza obbligo di gara. Restano ferme le disposizioni del codice civile in materia di forma, revocazione e azione di riduzione delle donazioni.

Note

(1) Il comma 2 è stato modificato dall'art. 1, comma 1 del D.Lgs. 31 dicembre 2024, n. 209.

Rel. C.d.S. al Codice dei Contratti

(Relazione del Consiglio di Stato al Codice dei Contratti del 7 dicembre 2022)

8 
Il comma 1 sancisce il principio di autonomia contrattuale, recependo una costante giurisprudenza (cfr. Cass. Sez. Un. 12 maggio 2008, n. 11656), che riconosce alla pubblica amministrazione una generale capacità negoziale, salvo i divieti previsi dalla legge. È ormai pacifico, infatti, che il principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi non si estende ai contratti, per i quali vige l’opposto principio di atipicità (art. 1322 c.c.).

Si ribadisce, in tal modo, il principio di tassatività della limitazione della capacità negoziale, richiedendosi una esplicita previsione di legge (come ad es. quella contenuta, per la conclusione del contratto di società, nell’art. 4, c. 1, d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, che fa divieto di “costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali” o in materia di contratti derivati stipulati da Regioni ed enti locali ai sensi dell’art. 62 d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, così come modificato dall’art. 1, comma
572, l. 27 dicembre 2013, n. 147).

Il comma 2 dà attuazione al criterio direttivo della lettera l) “divieto di prestazione gratuita dell’attività professionale, salvo che in casi eccezionali e previa motivazione”. Il divieto è stato inteso in senso letterale e, quindi riferito solo alle “prestazioni d’opera intellettuale” di cui agli articoli 2229 e seguenti del codice civile, per le quali deve operare la regola dell’equo compenso ai sensi dell’art. 2233 c.c. Per il resto si ribadisce, invece, la generale ammissibilità dei contratti gratuiti con la p.a. che non abbiano ad oggetto prestazioni intellettuali. Una generalizzata esclusione del contratto gratuito, specie se economicamente interessato, sarebbe, del resto, di dubbia compatibilità costituzionale e di dichiarata incompatibilità col diritto dell’Unione (vedi sentenza Corte di Giustizia UE 10 settembre 2020, n. 367, che ha affermato che sono contratti a titolo oneroso ai sensi della disciplina degli appalti europei, anche quelli privi di corrispettivo di carattere puramente finanziario).

Si evidenzia, sul tema, che con riferimento agli avvocati già esiste una disposizione che garantisce l’equo compenso. Si tratta dell’art. 13-bis della legge 31 dicembre 2012, n. 247, introdotto dall’art. 19-quaterdecies d.l. 16 ottobre 2017, n. 148, che così dispone: “3. La pubblica amministrazione, in attuazione dei princìpi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell'equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.

La norma era stata interpretata in maniera restrittiva da una parte della giurisprudenza amministrativa (cfr., in particolare Cons. Stato, IV, n. 7442/2021, secondo cui “la normativa sull’equo compenso sta a significare soltanto che, laddove il compenso sia previsto, lo stesso debba necessariamente essere equo, mentre non può ricavarsi dalla disposizione l’ulteriore (e assai diverso corollario) che lo stesso debba essere sempre previsto (a meno di non sostenere, anche in questo caso, che non vi possa essere alcuno spazio per la prestazione di attività gratuite o liberali da parte dei liberi professionisti) […]. La disposizione non esclude il (e nemmeno implica la rinuncia al) potere di disposizione dell’interessato, che resta libero di rinunciare al compenso – qualunque esso sia, anche indipendentemente dalla equità dello stesso – allo scopo di perseguire od ottenere vantaggi indiretti (come nel caso che ci occupa) o addirittura senza vantaggio alcuno, nemmeno indiretto, come tipicamente accade nelle prestazioni liberali (donazioni o liberalità indirette).

La legge-delega ora impone il superamento di questo orientamento, perché prevede che il compenso deve esserci (e, in base alla citata disposizione del 2017 e, più in generale, dell’art. 2223 c.c. dovrà essere equo). Da qui la disposizione contenuta nel comma 2 del presente articolo.

Il comma 3 introduce, in maniera innovativa, una disciplina relativa alle donazioni, cioè i contratti animati da spirito di liberalità e privi di interesse economico, anche indiretto, da parte del donante. Vengono, in tal modo, regolamentati gli atti di mecenatismo che incrementano il patrimonio del soggetto pubblico, spesso sotto il profilo storico, culturale e artistico (ad es. la donazione di un bene di valore artistico da parte di una persona fisica o giuridica). L’assenza di qualunque interesse economico determina una netta demarcazione rispetto ai contratti a titolo gratuito (es. sponsorizzazioni) disciplinati all’articolo 13, commi 2 e 5, del codice (il quale rinvia, per le definizioni, all’Allegato I.1) e giustifica l’esenzione dall’obbligo di gara per la selezione del contraente, che sarebbe, del resto, incompatibile con la natura liberale dell’atto.

In armonia con il principio di autonomia contrattuale di cui al comma 1, la disposizione chiarisce che l’amministrazione, come tutti i soggetti del diritto (salvo incapacità giuridiche speciali) ha la capacità giuridica di ricevere per atto di liberalità. L’unica condizione aggiuntiva, rispetto agli altri soggetti del diritto, per l’accettazione è la previa valutazione che l’acquisizione del bene o della prestazione sia conforme all’interesse pubblico perseguito o, comunque, all’interesse della collettività. La precisazione è volta a richiamare l’attenzione del donatario/ricevente sugli effetti negoziali dell’atto che deve tradursi in un effettivo arricchimento della sfera patrimoniale o non patrimoniale (artistica, culturale ecc.) di quest’ultimo ed è volta ad escludere donazioni o atti di liberalità posti in essere dal donante/disponente al solo scopo di liberarsi da oneri di manutenzione di beni immobili privi di qualunque utilità o valore, traslandoli sul donatario. Si chiarisce altresì che nel caso di donazioni non è richiesta alcuna procedura di selezione del contraente, attesa l’assenza di qualunque interesse economico. L’ultimo periodo del comma 3 precisa che la natura pubblica del donatario non sottrae gli atti in questione alla disciplina del codice civile in materia di donazione, ivi compresa la revocazione (l’unica ipotesi di revocazione compatibile con la natura del donatario è quella per sopravvenienza di figli di cui all’art 803 c.c) e l’azione di riduzione dei legittimari.

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