Cerchiamo di fare chiarezza sull’argomento: se il dipendente rifiuta la variazione dell’orario di lavoro voluta unilateralmente dal datore, c’è il rischio di essere licenziato?
Innanzitutto, occorre sapere che il rapporto di lavoro a tempo pieno (full time) prevede 40 ore lavorative settimanali, a meno che i CCNL di categoria non stabiliscano diversamente.
Invece, il rapporto di lavoro part-time (a tempo parziale) si caratterizza per avere meno delle 40 ore settimanali. Possiamo distinguere tre tipologie di part-time:
- part-time orizzontale. Il lavoratore ha una riduzione di orario su base giornaliera: si lavora tutti i giorni per un orario minore rispetto a quello pieno. Ad esempio, il dipendente che lavora dalle 9 alle 13, anziché dalle 9 alle 18;
- part-time verticale. C’è una riduzione di orario su base settimanale, mensile o annuale: si lavora solo alcuni giorni della settimana, del mese o dell’anno. Per esempio, il dipendente che lavora dalle 9 alle 18, tre giorni a settimana;
- part-time misto. Le modalità di part-time orizzontale e verticale si combinano.
Quindi, può essere licenziato il dipendente che rifiuta il cambio dell’orario lavorativo?
La risposta è no. Però, attenzione: ci sono alcuni casi particolari. Vediamo quali.
In generale, è possibile il mutamento dell’orario lavorativo da part-time a tempo pieno o viceversa, ma soltanto su accordo delle parti (peraltro, accordo che deve risultare da atto scritto). Se non c’è il consenso del lavoratore, il cambiamento è inammissibile. Infatti, la normativa (art. 5 d.lgs. n. 61/2000) stabilisce che, in tal caso, il rifiuto del lavoratore non costituisce un giustificato motivo di licenziamento.
Tuttavia, come detto, ci sono casi particolari in cui il discorso cambia poiché è la legge che richiede la variazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a part-time. Questo accade nelle seguenti ipotesi:
- quando il lavoratore è affetto da patologie oncologiche o gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti (cioè, malattie che si aggravano con il passare del tempo);
- quando il coniuge, i figli o i genitori del lavoratore sono affetti da patologie oncologiche o gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti;
- quando il dipendente assiste una persona convivente che abbia un’inabilità lavorativa totale e permanente e che necessiti di assistenza continua;
- quando il lavoratore con figlio convivente minore di 13 anni o disabile grave fa richiesta di variazione dell’orario lavorativo.
Allora, al di là delle ipotesi previste per legge, il cambiamento dell’orario di lavoro può avvenire solo su accordo delle parti e il rifiuto del lavoratore non è un giustificato motivo di licenziamento.
Però, c’è un’eccezione in cui il datore di lavoro può licenziare il dipendente che abbia rifiutato la variazione dell’orario lavorativo da part-time a tempo pieno. Cerchiamo di capire quando.
La Cassazione ha evidenziato che, nel caso di rifiuto del dipendente al mutamento dell’orario di lavoro, il licenziamento è legittimo se è motivato non dal rifiuto del lavoratore, ma dall’impossibilità di utilizzo della prestazione a tempo parziale.
La Suprema Corte ha precisato che, in tal caso, è onere del datore dimostrare tale impossibilità. Come? Il datore deve provare alcuni elementi:
- il datore deve provare le ragioni economiche dalle quali deriva l’impossibilità di continuare ad utilizzare la prestazione part-time;
- il datore deve dimostrare che il cambiamento dell’orario lavorativo è l’unica soluzione organizzativa possibile per mantenere il dipendente;
- inoltre, il datore deve provare l’offerta a tempo pieno che è stata rifiutata;
- il datore deve anche dimostrare il rapporto di causalità tra le esigenze di mutamento dell’orario lavorativo e il licenziamento.