Essendo un reato a forma libera, la fattispecie può essere realizzata attraverso diversi comportamenti, tra i quali incessanti e ripetitivi messaggi tramite WhatsApp, chat similari o piattaforme social. L’elemento richiesto affinché sia perfezionato il reato è il medesimo dello stalking di tipo tradizionale, caratterizzato da pedinamenti, minacce e tentativi di avvicinamento, ovvero la capacità di generare nella vittima un grave e perdurante stato di ansia o di paura, il fondato timore per l’incolumità propria o di un proprio caro o il cambiamento delle proprie abitudini di vita.
Nell’eventuale procedimento penale grava sulla persona offesa l’onere di dare prova dei comportamenti integranti la fattispecie; in tale ipotesi sarà sufficiente riportare il contenuto dei messaggi, anche tramite screenshot, per ottenere la condanna dell’imputato.
Irrilevante è il rilievo che la vittima ha sempre e comunque la scelta tra il leggere il contenuto di quanto gli viene inviato e il decidere di bloccare il contatto al fine di non ricevere più alcun messaggio.
Allo stesso modo, risulta non avere importanza il tenore di quanto viene inviato attraverso le chat, poiché è sufficiente vi sia semplicemente la reiterazione del comportamento, fonte di ansia e preoccupazione per la vittima.
La persona offesa può decidere di rispondere ai messaggi o no, nell’eventuale tentativo di interrompere la condotta perpetrata dal soggetto agente o evitare che sfoci in qualcosa di più grave.
La pronuncia della Cassazione n. 7821/23 del 22.03.2023 ha precisato che integrano il reato non solo i classici inseguimenti, minacce o telefonate incessanti, ma anche i messaggi su WhatsApp capaci di provocare il manifestarsi delle medesime preoccupazioni nella vittima.
Nell’ipotesi sottoposta ad esame la condotta di stalking realizzata tramite messaggi WhatsApp di portata sgradevole ed offensiva veniva punita con la pena della reclusione pari ad un anno e mezzo.
La querela deve essere presentata presso la Questura, i Carabinieri o, in alternativa, alla Procura della Repubblica entro e non oltre sei mesi dall’ultima molestia; da questo momento la vittima potrà ottenere la pronuncia di un’ordinanza restrittiva.
L’avvio dell’azione penale, tuttavia, non è l’unica via che può essere seguita dal momento che la persona offesa si potrebbe anche rivolgere al Questore, che provvederà almeno ad un’ammonizione verbale, nel tentativo di proteggere velocemente la vittima, intimorire il responsabile e interrompere i suoi comportamenti.
Per quanto riguarda la sanzione prevista per la fattispecie, la legge prevede la reclusione variabile da un anno a sei anni e mezzo; è prevista anche un’aggravante nel caso in cui la si tratti di coniuge o convivente, a prescindere dall’attualità del legame con la persona offesa.
Ulteriore aggravante è il ricorso a strumenti informatici o telematici, quali app di messaggistica o piattaforme social; inoltre, la pena è aumentata fino alla metà se il fatto viene commesso a danno di tre differenti categorie di soggetti:
- il minore;
- la donna in stato di gravidanza;
- la persona portatrice di handicap
Lo stesso aumento è previsto nel caso vengano usate armi o il responsabile sia una persona travisata.