Nel caso esaminato dal Tribunale, un condominio aveva convenuto in giudizio la società proprietaria dell’appartamento posto all’ottavo e ultimo piano dell’edificio, in quanto la stessa avrebbe realizzato delle opere illegittime, modificando il tetto del condominio e sconfinando in un’area di proprietà comune.
Il condominio chiedeva, dunque, al Giudice di condannare la società al ripristino dello stato dei luoghi come questi si presentavano prima dell’esecuzione dei lavori, nonché al risarcimento del danno.
La società si costituiva in giudizio, contestando le domande degli attori ed evidenziando che l’area interessata dai lavori era stata acquisita per usucapione.
La società dunque, chiedeva l’accertamento dell’avvenuta usucapione, nonché la condanna degli attori al risarcimento dei danni, ai sensi dell’art. 833 c.c.
Il Giudice riteneva, in effetti, di dover accogliere la domanda del condominio, per le ragioni che seguono.
Osservava il Tribunale, in particolare, che, anche se il regolamento di condominio, nell’elencare le parti comuni del condominio, non indicava il sottotetto, ciò non era sufficiente ad escludere che lo stesso rappresentasse una parte comune dell’edificio.
Evidenziava il Tribunale, in proposito, che la giurisprudenza della Corte di Cassazione si era più volte pronunciata sull’argomento (da ultimo, con la sentenza n. 6143 del 2016), fissando il principio di diritto secondo cui “in tema di condominio, per accertare la natura condominiale o pertinenziale del sottotetto di un edificio, in mancanza del titolo, deve farsi riferimento alle sue caratteristiche strutturali e funzionali”.
Di conseguenza, quando il sottotetto sia oggettivamente destinato all’uso comune, lo stesso può presumersi “bene comune”, ai sensi dell’art. 1117 c.c.
Al contrario, se il sottotetto ha la sola funzione di isolare e proteggere dal freddo, dal caldo e dall’umidità l’appartamento sito all’ultimo piano, lo stesso deve considerarsi di proprietà esclusiva del proprietario dell’appartamento stesso.
Ebbene, nel caso di specie, il Tribunale di Milano rilevava come il sottotetto non fosse una “semplice camera d’aria a protezione dell’appartamento sottostante”, in quanto lo stesso, per le sue caratteristiche strutturali, era idoneo ad essere utilizzato autonomamente.
Del resto, proprio la società convenuta aveva occupato a fini abitativi parte del sottotetto oggetto di contestazione, espandendo l’appartamento di cui era proprietaria e senza modificare l’altezza del tetto.
Inoltre, il Tribunale evidenziava come i testimoni sentiti sull’argomento avessero riferito che nel sottotetto erano presenti gli impianti condominiali, che vi erano depositati attrezzi e materiali di proprietà del condominio e che al sottotetto accedevano i tecnici del condominio per provvedere alla manutenzione degli impianti e del tetto, passando attraverso l’appartamento della società convenuta.
Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale riteneva, dunque, che il sottotetto in questione fosse una “parte comune dello stabile” e che non fosse, invece, di proprietà esclusiva della società proprietaria dell’appartamento all’ultimo piano.
Pertanto, il Tribunale giungeva alla conclusione di dover accogliere le domande proposte dal condominio, dal momento che le opere oggetto di contestazione avevano comportato interventi sul tetto dello stabile e l’occupazione di una porzione di tetto di proprietà condominiale, che doveva essere, dunque, restituita al condominio stesso, mediante la rimessione in pristino dello stato dei luoghi.