Il caso concreto che è stato oggetto delle attenzioni della Suprema Corte, in particolare, riguardava una signora che, ristretta presso la propria abitazione in regime di arresti domiciliari, si era recata senza autorizzazione presso un’altra casa, attigua alla propria e collocata all’interno del medesimo palazzo, per fumare una sigaretta. La donna era dunque stata condannata per il delitto di evasione di cui all'art. 385 c.p.
La Corte di appello, poi, aveva confermato la decisione di prime cure, sicchè l’imputata aveva proposto ricorso in Cassazione, dolendosi – limitatamente agli aspetti qui di rilievo – a) della carenza dell'elemento materiale del reato di evasione in considerazione della limitata portata dell'allontanamento collegato da un varco; b) dell'assenza del dolo tenuto conto che l’imputata si era recata nell’appartamento attiguo solo per fumare e non certo per sottrarsi ai controlli.
Nel dichiarare il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza nonché per genericità, dunque, la Suprema Corte ha operato alcune importanti precisazioni.
Ebbene, in ordine a cosa debba intendersi per abitazione al fine di assegnare rilevanza penale alla condotta dell'agente che se ne allontana, la Cassazione ha richiamato un proprio orientamento consolidato per cui “ deve intendersi lo spazio fisico delimitato dall'unità abitativa in cui la persona conduce la propria vita domestica, con esclusione di ogni altra appartenenza (aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili) che non sia di stretta pertinenza dell'abitazione e non ne costituisca parte integrante”.
Per la Corte, pertanto, se il soggetto in regime di detenzione domiciliare si reca in un altro appartamento, distinto anche sotto il profilo catastale e costituente dimora di un diverso nucleo familiare, si deve ritenere integrato l’elemento oggettivo richiesto dal reato previsto dall’art. 385 co. 3 c.p., che punisce l'imputato che, essendo in stato di arresto nella propria abitazione o in altro luogo designato nel provvedimento, se ne allontani.
Nel caso di specie, nello specifico, è emerso come le due abitazioni fossero nettamente distinte tra loro sotto il profilo catastale.
Per quanto riguarda il profilo dell’elemento soggettivo, invece, la Corte ha affermato che in astratto non assume rilevanza alcuna la prospettata necessità di fumare una sigaretta, evenienza non certo idonea a far venir meno gli obblighi sottesi alla misura cautelare in corso di esecuzione.
Nel caso di specie, è anzi stata ritenuta sussistente una volizione particolarmente intensa, atteso che i due appartamenti erano in realtà comunicanti attraverso un apposito varco che veniva furbescamente occultato dalla presenza di due armadi.