Nel caso esaminato dalla Cassazione, un soggetto aveva proposto ricorso avverso l’ordinanza con cui il Tribunale del Riesame aveva confermato il provvedimento del Giudice per le Indagini Preliminari, che aveva applicato la misura coercitiva degli arresti domiciliari per il reato di cui sopra, commesso in danno di una donna, con la quale l’indagato aveva avuto una relazione sentimentale durata circa tre anni.
Dopo la fine della relazione, in particolare, il giudice di primo grado aveva rilevato che la condotta dell’indagato era consistita “in una serie di minacce gravi, perpetrate attraverso l’invio alla L., al cognato, al nipote minorenne e alla datrice di lavoro, attraverso strumenti informatici (quali un falso profilo facebook, creato con il nome della persona offesa ed altro profilo creato con il nome di suo padre), ed in tempi diversi, di foto intime, che ritraevano la donna nuda o nell’atto di compiere atti sessuali, con l’esplicitazione della volontà di diffonderle pubblicamente e di farle vedere ai figli”.
Secondo il ricorrente, non sussistevano le esigenze cautelari poste dal Tribunale alla base della misura degli arresti domiciliari e non era nemmeno configurabile, sotto il profilo oggettivo, il reato di stalking, non essendo sufficienti a tal fine dei “reiterati atti di minaccia o di molestia nei confronti di un soggetto, ma è necessaria anche la determinazione di uno stato d’ansia o di paura o la sussistenza di un fondato timore per la propria incolumità”.
Evidenziava il ricorrente, inoltre, che le esigenze cautelari non potevano ritenersi sussistenti, “in considerazione della cessazione dei rapporti tra le parti”.
La Corte di Cassazione, tuttavia non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dal ricorrente, rigettando il relativo ricorso, in quanto inamissibile.
Secondo la Cassazione, infatti, il ricorrente aveva dedotto “l’insussistenza del reato di atti persecutori, per carenza dell’evento, senza in alcun modo confrontarsi con la precisa ricostruzione operata dal Tribunale del riesame, nella cui ordinanza si chiarisce che i comportamenti dell’indagato, susseguitisi per mesi e mesi, determinavano nella vittima un grave stato d’ansia e una incontrollabile paura (come d’altronde è naturale immaginare), che l’avevano costretta a modificare le proprie abitudini ed a rivolgersi ad uno psicologo”.
Quanto alle esigenze cautelari, poi, il ricorrente, secondo la Cassazione, si era limitato ad escluderle, “in considerazione della cessazione dei rapporti tra le parti, ignorando anche in questo caso la puntuale indicazione del provvedimento impugnato, che nella molteplicità degli episodi narrati dalla persona offesa e, nel crescendo dell’aggressività, individua una personalità trasgressiva, invadente ed allarmante non contenibile con una misura meno afflittiva”.
In sostanza, secondo la Cassazione, il ricorso non poteva essere accolto, in quanto il medesimo era eccessivamente generico, dal momento che il medesimo non teneva in alcun modo conto delle motivazioni che erano state rese dal Tribunale nella conferma della misura degli arresti domiciliari.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso proposto dal ricorrente, condannando il medesimo al pagamento delle spese processuali.