La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 55739 del 13 dicembre 2017, si è occupata proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni in merito al reato di “diffamazione a mezzo stampa”, di cui all’art. 57 c.p.
Il caso sottoposto all’esame della Corte di Cassazione ha visto come protagonista un soggetto, il quale era stato accusato del reato di “diffamazione a mezzo stampa” (art. 57 c.p.), in quanto questi, nella sua qualità di direttore responsabile di un settimanale, aveva pubblicato una lettera pervenutagli da uno sconosciuto lettore, nella quale veniva denunciato il maltrattamento di un cane nell’abitazione di un soggetto.
La Corte d’appello, tuttavia, riformando la sentenza di primo grado, aveva assolto l’imputato “perché il fatto non costituisce reato”.
Ritenendo la decisione ingiusta, il padrone del cane in questione - che si era costituito parte civile nell’instaurato procedimento penale - aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza stessa.
Secondo il ricorrente, in particolare, il direttore del giornale avrebbe dovuto essere ritenuto responsabile, in quanto egli non avrebbe verificato la veridicità della notizia, che gli era stata riferita da uno sconosciuto lettore.
La Corte d’appello, dunque, a detta del ricorrente, avrebbe erroneamente ritenuto applicabile al caso di specie la causa di esclusione della punibilità del “diritto di cronaca”, dal momento che, non solo la notizia riportata non corrispondeva al vero, ma la stessa proveniva da un soggetto che, seppur non anonimo, era del tutto sconosciuto.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dalla parte civile, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Osservava la Cassazione, in via preliminare, che, in tema di “diffamazione a mezzo stampa”, “il controllo sul contenuto del giornale unitariamente considerato compete in via esclusiva al direttore responsabile”, che non può delegare tale attività ad altri.
Precisava la Cassazione, inoltre, che la responsabilità del direttore può dirsi esclusa solo laddove questi dimostri di aver fatto “quanto in suo potere per prevenire la diffusione di notizie non rispondenti al vero, prescrivendo e imponendo regole e controlli, anche mediati, di accuratezza, di assoluta fedeltà e di imparzialità e rispetto alla fonte-notizia”.
Ebbene, nel caso di specie, la Cassazione riteneva che il direttore del settimanale non potesse dirsi responsabile, dovendosi applicare la causa di esclusione della punibilità dell’esercizio del “diritto di critica” (art. 51 c.p.).
Evidenziava la Cassazione, sul punto, che il tenore della lettera pubblicata sul settimanale consentiva di affermare che i giudizi sulle condizioni dell’animale erano stati espressi dall’autrice della lettera stessa esercitando il proprio “diritto di critica”.
Era l’autrice della lettera, infatti, “a ritenere che le modalità di custodia del cane fossero tali da tradursi in maltrattamenti”, esprimendo dei giudizi sulle modalità di custodia dell’animale.
Secondo la Cassazione, in sostanza, il “fatto certamente vero” che il padrone del cane in questione “lasciasse per ore il suo cane in uno spazio angusto” aveva indotto l’autrice della lettera a “criticare pubblicamente le modalità di custodia dell'animale, richiamando l'attenzione sulla vicenda ritenuta lesiva della vita e della salute dello stesso animale”.
Il direttore, dunque, a detta della Cassazione, aveva, correttamente “dato spazio all'esercizio di quel diritto di critica, pubblicando la lettera, evidentemente ritenendola di interesse per i suoi lettori e comunque rispettosa del requisito della continenza”, il quale richiede l’utilizzo di una “forma espositiva corretta della critica rivolta”, vale a dire, “strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell'altrui reputazione”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dalla parte civile, confermando integralmente la sentenza resa dalla Corte d’appello.