Il caso sottoposto all’esame della Cassazione ha visto come protagonista un’indagata per alcuni reati fallimentari connessi al fallimento di una società.
Nell’ambito di tale procedimento, il Tribunale di Imperia aveva confermato il decreto di “sequestro probatorio” disposto dal Pubblico Ministero, avente ad oggetto, tra l’altro, “le e-mail spedite e ricevute da account in uso all'indagata, nonché il telefono cellulare del tipo smartphone dell'indagata, successivamente restituitole previa estrazione di copia integrale dei dati informatici memorizzati (sms, messaggi WhatsApp, e-mail)”.
Ritenendo il provvedimento ingiusto, l’indagata aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento dell’ordinanza di sequestro.
La ricorrente eccepiva, in primo luogo, “l'invalidità della procedura di acquisizione dei messaggi e delle e-mail”, evidenziando che si sarebbe dovuto adottare quella di cui all’art. 266 c.p.p. (limiti di ammissibilità delle intercettazioni), “venendo in rilievo un'attività di intercettazione di flussi di comunicazioni telematiche”.
Secondo la ricorrente, inoltre, il Tribunale avrebbe violato il “principio di proporzionalità e adeguatezza”, avendo il medesimo proceduto “alla integrale e indiscriminata apprensione di tutti i dati archiviati nella memoria del telefono cellulare in uso all'indagata”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle considerazioni svolte dall’indagata, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Precisava la Cassazione, infatti, che “i dati informatici acquisiti dalla memoria del telefono in uso all'indagata (sms, messaggi whatsapp, messaggi di posta elettronica "scaricati" e/o conservati nella memoria dell'apparecchio cellulare) hanno natura di documenti ai sensi dell'art. 234 c.p.p.”.
Di conseguenza, secondo la Corte, l’attività acquisitiva dei suddetti documenti “non soggiace né alle regole stabilite per la corrispondenza, né tanto meno alla disciplina delle intercettazioni telefoniche”.
Secondo la Cassazione, inoltre, con riferimento ai messaggi whatsapp e agli SMS rinvenuti in un cellulare sequestrato, non è applicabile nemmeno l’art. 254 c.p.p., “in quanto questi testi non rientrano nel concetto di "corrispondenza", la cui nozione implica un'attività di spedizione in corso o comunque avviata dal mittente mediante consegna a terzi per il recapito”.
Quanto, infine, all’asserita violazione del “principio di proporzionalità e adeguatezza”, la Corte rilevava come nemmeno tale doglianza fosse fondata, “poiché l'acquisizione di dati informatici mediante la cd. copia forense è una modalità conforme a legge, che mira a proteggere, nell'interesse di tutte le parti, l'integrità e affidabilità del dato così acquisito”.
Alla luce di tutte tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dall’indagata, confermando integralmente l’ordinanza di sequestro probatorio oggetto di impugnazione.