Il caso sottoposto all’esame della Cassazione ha visto come protagonista un’associazione, che aveva agito in giudizio nei confronti di un proprio dipendente, al fine di veder accertata la legittimità della sanzione disciplinare della “sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per quattro giorni” che gli era stata comminata.
Nello specifico, il dipendente era stato sanzionato in quanto questi, “alla scadenza di un periodo di malattia”, non avrebbe comunicato alla datrice di lavoro che non sarebbe tornato al lavoro.
Il lavoratore aveva contestato la domanda avversaria, evidenziando di essere stato licenziato e chiedendo la declaratoria di illegittimità del licenziamento stesso.
Il Tribunale, pronunciatosi in primo grado, aveva confermato la legittimità della sanzione irrogata, rigettando, altresì, l’impugnazione del licenziamento proposta dal lavoratore.
La sentenza era stata confermata dalla Corte d’appello, con la conseguenza che il lavoratore aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
La Corte di Cassazione, tuttavia, riteneva di dover aderire alle considerazioni svolte dai giudici dei precedenti gradi di giudizio, rigettando il ricorso proposti dal dipendente, in quanto infondato.
Osservava la Cassazione, in particolare, che, nel caso di specie, il lavoratore era stato sottoposto a tre sanzioni disciplinari nello stesso anno e che il licenziamento era stato irrogato “dopo che era stato contestato un ulteriore illecito disciplinare”.
Di conseguenza, secondo la Corte, il giudice d’appello aveva, del tutto correttamente, dichiarato la legittimità del licenziamento, dando applicazione al contratto collettivo di categoria, applicabile alla fattispecie.
Tale contratto consentiva, infatti, il “licenziamento per giusta causa o giustificato motivo” (art. 18 Stat. lav.) in caso di “recidiva in qualunque mancanza quando siano stati comminati due provvedimenti di sospensione disciplinare nell'arco di un anno dall'applicazione della prima sanzione”.
Poiché, dunque, il giudice d’appello aveva accertato la legittimità dell’irrogazione di tutte e tre le sanzioni disciplinari comminate al lavoratore, la Corte di Cassazione giungeva alla conclusione di dover rigettare il ricorso proposto da quest’ultimo, confermando integralmente la sentenza impugnata.