Tali rumori, infatti, se particolarmente forti e costanti, possono diventare davvero intollerabili, tanto da rendere l'appartamento invivibile.
La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata sull'argomento, fornendo delle precisazioni in tema di danno risarcibile e di prova da fornire nel caso si debba arrivare addirittura in Tribunale (sentenza n. 2864 del 2016).
Il principio generale in materia di rumori molesti è quello secondo cui gli stessi devono essere tollerati a meno che non superino la c.d. normale tollerabilità.
Si tratta, come intuibile, di un concetto piuttosto generico, in relazione al quale può sorgere anche un problema di ordine probatorio.
Ci si potrebbe chiedere in particolare - nel caso si rendesse necessario rivolgersi al tribunale a causa della continua produzione di questi rumori - cosa sia necessario provare al fine di ottenere il risarcimento del danno.
Innanzitutto, va precisato che il codice civile prevede la possibilità di chiedere il risarcimento non solo del c.d. danno patrimoniale (ovvero, della perdita economica concretamente subita) ma anche del c.d. danno non patrimoniale, cioè del patema d'animo o della sofferenza che un determinato comportamento illegittimo altrui comporta.
Nel caso dei rumori molesti provenienti dall'appartamento del vicino, quindi, è possibile proprio chiedere il risarcimento del danno non patrimoniale, che è rappresentato dall'invivibilità del proprio appartamento, nel quale non risulta più tollerabile abitare a causa dei continui rumori causati dal vicino.
In proposito, la Corte di Cassazione, ha precisato che, per chiedere e ottenere il risarcimento non è necessario provare il danno non patrimoniale concretamente subito, in quanto ciò che è essenziale è riuscire a provare che i rumori in questione superano il limite della normale tollerabilità.
Ma c'è di più: la prova del superamento del limite di tollerabilità può essere data anche per testimoni, senza che sia necessario, quindi, richiedere l'intervento di un esperto che faccia un'apposita perizia, con evidente risparmio di tempo e di denaro.
In particolare, la Corte, nella pronuncia sopra citata, ha chiarito che la prova della tollerabilità o meno del rumore può essere fornita chiamando a testimoniare gli altri inquilini del condominio che, ovviamente, sono le persone che meglio di altre possono confermare o meno quanto affermato dalle parti in causa.
È ovvio che i testimoni, soprattutto quando si tratta di vicini di casa, possono essere facilmente "corrotti", ma questo è un problema che si porrà poi per il giudice, che dovrà valutare, tenendo in considerazione le circostanze complessive, se le testimonianze possono considerarsi attendibili o no.
Va precisato, però, che non sempre gli altri condomini possono essere chiamati a testimoniare nel processo: infatti, se gli stessi hanno uno specifico interesse nella causa, tanto che in linea teorica potrebbero aver diritto a partecipare al processo, la loro testimonianza non è ammissibile.
Così, se anche un altro condomino subisce gli stessi rumori molesti lamentati dalla parte in causa, lo stesso non potrà essere chiamato a testimoniare: in questo caso, infatti, si deve ritenere che il condomino abbia un interesse che potrebbe giustificare la sua partecipazione allo stesso processo.
Anche in questo caso, comunque, la valutazione spetta al giudice, che dovrà valutare se il condomino possa o meno essere chiamato a testimoniare.
Quindi, al giudice spettano due valutazioni fondamentali: la prima, relativa all'ammissibilità della testimonianza e la seconda relativa all'attendibilità della stessa.
In conclusione, superato il giudizio di ammissibilità, attraverso la prova per testimoni, il condomino potrà provare il superamento del limite della normale tollerabilità dei rumori, senza che sia necessario che lo stesso provi anche di aver subito un danno concreto, che viene considerato implicito nella intollerabilità del rumore molesto.
La norma del codice civile a cui fare riferimento per questa materia è l'art. 844 del c.c..