La Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7275/2020, si è pronunciata in merito a quelli che sono i presupposti fattuali necessari per poter ritenere configurato il delitto di riciclaggio, di cui all’art. 648 bis del c.p..
La vicenda giudiziaria di cui si è occupata la Suprema Corte vedeva come protagonista il socio di un’impresa svizzera il quale aveva depositato su conti correnti elvetici delle somme di denaro provenienti da reati in materia di violazioni tributarie, contrabbando e truffa. Dopo alcuni anni, approfittando del meccanismo del cosiddetto “scudo fiscale”, l’uomo faceva rientrare in Italia dette somme, depositandole su conti correnti a sé intestati. Le medesime somme, però, venivano poi trasferite ad un terzo attraverso diverse operazioni, tra cui una donazione.
Per questi fatti l’uomo veniva condannato in primo grado per il delitto di riciclaggio, in quanto, con la propria condotta, aveva, di fatto, realizzato un’evasione fiscale. Tale condanna veniva, poi, confermata, dal Tribunale, adito come giudice dell’impugnazione in sede di riesame.
L’uomo, rimasto soccombente, impugnava, dunque, dinanzi alla Corte di Cassazione, la pronuncia emessa dal Tribunale, sostenendo che, nel caso concreto, non si potesse considerare perfezionato il delitto di riciclaggio perché i singoli atti da lui compiuti erano leciti. Secondo il parere della difesa, infatti, il reato ex art. 648 bis c.p. si può ritenere configurato soltanto qualora ogni singolo atto realizzato dopo il reato presupposto sia totalmente conforme alla fattispecie astratta.
La Suprema Corte ha, tuttavia, rigettato il ricorso, giudicandolo infondato.
Gli Ermellini hanno, infatti, precisato che il riciclaggio è una fattispecie a forma libera, per cui non si possono tipizzare tutte le possibili condotte che possono essere concretamente utilizzate per conseguire lo scopo di occultare la provenienza illecita di una somma di denaro o di altre utilità.
Ciò che, infatti, fa si che una certa condotta integri il reato di riciclaggio, non è la sua intrinseca liceità o illiceità, bensì il fine che l’agente ha inteso realizzare attraverso di essa, che deve consistere nel voler nascondere la provenienza illecita del denaro. In tali termini, dunque, la forma libera del reato in esame implica che l'effetto di oscuramento della provenienza delittuosa, possa essere, astrattamente, realizzata sia con singoli atti leciti, sia con una pluralità di distinti atti leciti, anche realizzati a distanza di tempo, purché siano accomunati ad un unico obiettivo, ossia l'occultamento della provenienza delittuosa del denaro che costituisce il loro oggetto.
Non è, altresì, essenziale che l'agente individui sin dall'inizio del proprio progetto delittuoso i singoli atti che andrà a compiere per perseguire la finalità di occultamento. In virtù della forma libera della fattispecie, infatti, può anche accadere che i singoli atti siano individuati nel corso del progetto criminoso, sulla base delle eventuali sopravvenienze, oppure del concreto sviluppo degli eventi, i quali rendano preferibile un atto piuttosto che un altro.
La fattispecie in esame si può, quindi, realizzare anche attraverso atti di per sé leciti, il cui compimento, però, risulti essere concretamente finalizzato a nascondere la provenienza delittuosa di una somma di denaro.
Ai fini della configurazione del reato di riciclaggio non rileva l'illiceità o meno dei singoli atti, ma la finalità obiettiva di nascondere la provenienza delittuosa del denaro.