La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 53137 del 2017, si è occupata proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.
Il caso sottoposto all’esame della Cassazione ha visto come protagonista il titolare di una ditta individuale, condannato, sia in primo che in secondo grado, per il reato tributario di cui all’art. 4 del d. lgs. n. 74 del 2000 (dichiarazione infedele), in quanto egli non avrebbe dichiarato redditi da attività illecita, per un immobile complessivo di quasi 6,5 milioni di euro.
Ritenendo la decisione ingiusta, il soggetto in questione aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Secondo il ricorrente, in particolare, la Corte d’appello non avrebbe dato corretta applicazione all’art. 5 del d. lgs. n. 74 del 2000, in quanto, nel caso di specie, era stata contestata la mancata dichiarazione di redditi da attività illecita e il privato non potrebbe essere costretto a fornire all’amministrazione prove a sé sfavorevoli.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle considerazioni svolte dal titolare della ditta individuale, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Osservava la Cassazione, infatti, che la presentazione della dichiarazione dei redditi (anche se di natura illecita), non costituisce, di per sé, “una denuncia a proprio carico, ma soltanto una comunicazione inviata a fini fiscali, ed alla quale solo in via eventuale seguiranno accertamenti in ordine all'origine delle somme medesime”.
Di conseguenza, secondo la Cassazione, la Corte d’appello aveva, del tutto correttamente, ritenuto che l’omessa presentazione della dichiarazione di redditi da attività illecita integrasse il reato di “dichiarazione infedele”, di cui all’art. 4 del d. lgs. n. 74 del 2000.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dal titolare della ditta individuale, confermando integralmente la sentenza oggetto di impugnazione.