La Corte di Cassazione, con sentenza 48250/2019 della V Sezione penale, si è recentemente occupata del caso di uno straniero che, in territorio libico, aveva posto in essere gravi condotte penalmente rilevanti ai danni di migranti successivamente approdati in Italia.
Il Tribunale di Catania rigettava l’appello ex art. 310 del c.p.p. promosso dal P.M. avverso il provvedimento giurisdizionale con cui il G.I.P, da un lato, aveva rigettato l’istanza di misura cautelare per i delitti di sequestro di persona a scopo di estorsione pluriaggravato, tortura aggravata e violenza sessuale, ritenendo insussistente la giurisdizione del giudice italiano, dall’altro, aveva disposto la misura della custodia in carcere per i diversi reati di associazione per delinquere e di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare.
Il pubblico ministero proponeva ricorso in Cassazione, ritenendo che la giurisdizione fosse interamente del giudice nazionale, alla luce della stretta connessione tra le fattispecie delittuose perpetrate all’estero ed i reati punibili e perseguibili in Italia.
La Corte di Cassazione, non condividendo le argomentazioni esposte dal P.M., rigettava il ricorso.
L’iter logico-giuridico seguito dalla Suprema Corte trae origine dal principio di territorialità consacrato nell’art. 6 c.p., a tenore del quale si applica la legge penale italiana quando la condotta delittuosa venga commessa, in tutto o in parte, in Italia o, comunque, l’evento lesivo si sia verificato nel medesimo territorio italiano.
La derogabilità di tale principio, ai sensi dell’art. 7, n. 5), c.p., è ammessa allorquando ciò sia espressamente disposto da leggi speciali o da convenzioni internazionali.
Sul punto, gli ermellini hanno evidenziato la precipua importanza del richiamo alle Convenzioni di Ginevra del 1958 e di Montego Bay del 1982, quali fonti del “diritto di inseguimento” e dell’istituto internazionale della “presenza costruttiva”.
Orbene, è consentito l’inseguimento della nave straniera da parte dello Stato rivierasco che ritenga vi sia stata una violazione di leggi e regolamenti dello Stato stesso, a patto che l’inseguimento abbia avuto inizio nelle acque interne, nelle acque arcipelagiche, nel mare territoriale, oppure nella zona contigua dello Stato che mette in atto l’inseguimento.
Tale diritto è, peraltro, suscettibile di ampliamento nell’ipotesi in cui la nave inseguita, pur non essendo mai entrata in acque territoriali, faccia comunque parte della medesima flotta cui appartenga la nave che, invece, vi abbia fatto ingresso; ciò in virtù dell'unitarietà delle imbarcazioni che consente di agire, sulla base della condotta rilevante delle "navi figlie", anche nei confronti della c.d. "nave madre".
Tanto considerato, i giudici di legittimità hanno statuito in maniera cristallina come, fuori dalle suddette ipotesi convenzionali, mancando una base normativa che elevi la connessione tra fattispecie delittuose a criterio autonomamente idoneo ad intercettare la giurisdizione del giudice italiano in deroga al dettato di cui all’art. 6 del c.p., per i fatti commessi interamente all’estero da e nei confronti di un cittadino straniero è da ritenersi esclusa l’espansione della potestà punitiva e della giurisdizione italiana.
Il principio di territorialità di cui all'art. 6 c.p. è derogabile in favore del giudice italiano solo nelle ipotesi espressamente previste dalla legge.