Il caso sottoposto all’esame della Cassazione ha visto come protagonista un soggetto che era stato condannato, sia in primo che in secondo grado, per i reati di “danneggiamento aggravato”(art. 635 c.p.), “detenzione e porto illegali di arma comune da sparo clandestina” (artt. 2, 4 e 7 della legge n. 895 del 1967 e art. 23 della legge n. n. 110 del 1975), “porto ingiustificato di più coltelli” (art. 4 della legge n. 110 del 1975) e “detenzione abusiva di munizioni” (art. 697 c.p.).
Nello specifico, l’imputato era stato condannato in quanto questi avrebbe esploso “numerosi colpi di arma da fuoco” all'interno di due esercizi commerciali, danneggiando numerose slot-machines ivi collocate.
L’imputato, inoltre, si sarebbe dato alla fuga in automobile, venendo poi bloccato dai Carabinieri, che lo avrebbero trovato in possesso di una pistola con matricola abrasa, di numerose munizioni e di due coltelli (uno a serramanico ed uno da caccia).
All’udienza di convalida dell’arresto, l’imputato aveva ammesso di aver posto in essere le condotte oggetto di contestazione, riferendo, tuttavia, di non aver avuto intenzione di far male a nessuno e che il suo comportamento era stato dovuto al fatto che “aveva perso al gioco tutti i suoi guadagni”.
L’imputato era, poi, stato sottoposto a perizia psichiatrica, all’esito della quale egli era stato riconosciuto “seminfermo di mente, in quanto affetto da ‘disturbo dell'adattamento con umore depresso e ansia misti’ e da ‘ludopatia’”.
L’imputato, ritenendo la condanna ingiusta, aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della relativa sentenza.
Secondo l’imputato, in particolare, la Corte d’appello non avrebbe tenuto in adeguata considerazioni gli esiti della perizia psichiatrica, dovendosi escludere che egli fosse in grado di avere contezza delle proprie azioni e della propria antisocialità.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle considerazioni svolte dall’imputato, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Evidenziava la Cassazione, in proposito, come l’imputato avesse confuso i profili della “imputabilità”, intesa come “capacità di intendere e di volere”, e della “colpevolezza”, quale “coscienza e volontà del fatto illecito”.
Secondo la Corte, infatti, il “dolo generico” (vale a dire, la consapevolezza e volontarietà delle proprie azioni) “è pienamente compatibile con il vizio solo parziale di mente”.
Ebbene, nel caso di specie, la Cassazione rilevava come la Corte d’appello avesse del tutto, in considerazione delle risultanze della perizia psichiatrica, fosse giunta, del tutto “logicamente e coerentemente”, alla decisione di dover condannare l’imputato.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dall’imputato, confermando integralmente la sentenza impugnata.