La Corte di Cassazione Penale, con la sentenza n. 49610 del 23 novembre 2016, ha affrontato la questione relativa al prelievo di materiale biologico nell’ambito di un procedimento penale.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Catanzaro aveva confermato la sentenza di primo grado che aveva condannato l'imputato per il “reato di furto di otto termoconvettori a gas, sottratti da tre appartamenti situati all'interno di un residence”.
Nel caso di specie, “l'accertamento della responsabilità derivava dalla comparazione tra il profilo genotipico dell'imputato con quello estratto dalle tracce di DNA acquisite sui luoghi dei furti” ma, secondo il difensore dell’imputato, poiché il medesimo “non aveva prestato il consenso al prelievo di materiale biologico, le relative operazioni avrebbero dovuto essere svolte con l'osservanza delle disposizioni indicate dall'art. 359 bis del c.p.p. e dall'art. 224 bis del c.p.p.” (autorizzazione del Giudice per le Indagini Preliminari al prelievo forzoso).
Nel caso di specie, invece, il prelievo era “avvenuto negli uffici dei carabinieri, dove l'imputato era stato convocato. Le tracce di materiale biologico erano state lasciate su un bicchiere di plastica in cui, poco prima, i carabinieri avevano versato del liquore poi offerto all'imputato”.
La Corte di Cassazione non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dal ricorrente, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Secondo il ricorrente, in particolare, nel caso di specie non era stato chiesto all'imputato “se prestasse il consenso al prelievo di materiale biologico”, né vi era stata “una richiesta del pubblico ministero al giudice per le indagini preliminari per farsi autorizzare al prelievo”, così come non vi era stata “un'ordinanza del giudice che abbia autorizzato alcunché”.
Secondo la Cassazione, tuttavia, tali rilievi erano infondati, in quanto “il prelievo del DNA della persona indagata, attraverso il sequestro di oggetti contenenti residui organici alla stessa attribuibili, non è qualificabile quale atto invasivo o costrittivo e, essendo prodromico all'effettuazione di accertamenti tecnici, non richiede l'osservanza delle garanzie difensive, che devono, invece, essere garantite nelle successive operazioni di comparazione del consulente tecnico”.
Peraltro, secondo la Corte, “il prelievo di tracce biologiche su un oggetto rinvenuto nel luogo del commesso reato e le successive analisi dei polimorfismi del DNA, per l'individuazione del profilo genetico al fine di eventuali confronti, sono certamente utilizzabili quando l'indagine preliminare si svolga contro ignoti e non sia stato possibile osservare le garanzie di partecipazione difensiva previste per gli accertamenti tecnici irripetibili compiuti dal P.M.”.
Di conseguenza, la Corte d’appello, del tutto correttamente, aveva sostenuto che nessuna garanzia potesse essere offerta all’imputato “allorquando furono repertate le macchie ematiche sulla scena del crimine per il semplice fatto che in quel frangente il nome di costui era del tutto ignoto agli inquirenti” e che “alcuna garanzia gli era dovuta all'atto dell'acquisizione dei reperto comparativo perché effettuata con modalità non invasive né costrittive”; inoltre, “alcuna concreta lesione delle garanzie difensive può essere ravvisata se anche l'effettuazione della comparazione sia avvenuta in assenza della parte privata, attesa la sua pacifica ripetibilità e atteso che l'imputato si è ben guardato dall'invocare la ripetizione della comparazione”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Catanzaro aveva confermato la sentenza di primo grado che aveva condannato l'imputato per il “reato di furto di otto termoconvettori a gas, sottratti da tre appartamenti situati all'interno di un residence”.
Nel caso di specie, “l'accertamento della responsabilità derivava dalla comparazione tra il profilo genotipico dell'imputato con quello estratto dalle tracce di DNA acquisite sui luoghi dei furti” ma, secondo il difensore dell’imputato, poiché il medesimo “non aveva prestato il consenso al prelievo di materiale biologico, le relative operazioni avrebbero dovuto essere svolte con l'osservanza delle disposizioni indicate dall'art. 359 bis del c.p.p. e dall'art. 224 bis del c.p.p.” (autorizzazione del Giudice per le Indagini Preliminari al prelievo forzoso).
Nel caso di specie, invece, il prelievo era “avvenuto negli uffici dei carabinieri, dove l'imputato era stato convocato. Le tracce di materiale biologico erano state lasciate su un bicchiere di plastica in cui, poco prima, i carabinieri avevano versato del liquore poi offerto all'imputato”.
La Corte di Cassazione non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dal ricorrente, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Secondo il ricorrente, in particolare, nel caso di specie non era stato chiesto all'imputato “se prestasse il consenso al prelievo di materiale biologico”, né vi era stata “una richiesta del pubblico ministero al giudice per le indagini preliminari per farsi autorizzare al prelievo”, così come non vi era stata “un'ordinanza del giudice che abbia autorizzato alcunché”.
Secondo la Cassazione, tuttavia, tali rilievi erano infondati, in quanto “il prelievo del DNA della persona indagata, attraverso il sequestro di oggetti contenenti residui organici alla stessa attribuibili, non è qualificabile quale atto invasivo o costrittivo e, essendo prodromico all'effettuazione di accertamenti tecnici, non richiede l'osservanza delle garanzie difensive, che devono, invece, essere garantite nelle successive operazioni di comparazione del consulente tecnico”.
Peraltro, secondo la Corte, “il prelievo di tracce biologiche su un oggetto rinvenuto nel luogo del commesso reato e le successive analisi dei polimorfismi del DNA, per l'individuazione del profilo genetico al fine di eventuali confronti, sono certamente utilizzabili quando l'indagine preliminare si svolga contro ignoti e non sia stato possibile osservare le garanzie di partecipazione difensiva previste per gli accertamenti tecnici irripetibili compiuti dal P.M.”.
Di conseguenza, la Corte d’appello, del tutto correttamente, aveva sostenuto che nessuna garanzia potesse essere offerta all’imputato “allorquando furono repertate le macchie ematiche sulla scena del crimine per il semplice fatto che in quel frangente il nome di costui era del tutto ignoto agli inquirenti” e che “alcuna garanzia gli era dovuta all'atto dell'acquisizione dei reperto comparativo perché effettuata con modalità non invasive né costrittive”; inoltre, “alcuna concreta lesione delle garanzie difensive può essere ravvisata se anche l'effettuazione della comparazione sia avvenuta in assenza della parte privata, attesa la sua pacifica ripetibilità e atteso che l'imputato si è ben guardato dall'invocare la ripetizione della comparazione”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento delle spese processuali.