La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13358 del 28 giugno 2016, si è occupata proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, la proprietaria di un’unità immobiliare aveva agito in giudizio nei confronti di un proprietario di un’altra unità immobiliare, collocata su un fabbricato aderente, chiedendo la condanna del medesimo alla rimozione dell’ascensore installato nel proprio cortile di proprietà esclusiva.
Secondo la condomina, infatti, l’ascensore sarebbe stato installato ad una distanza inferiore a quella legale, rispetto alla finestra dell’attrice, che si affacciava sull’ascensore stesso.
Il convenuto si difendeva affermando, invece, che l’installazione era pienamente legittima, ai sensi della legge n. 13 del 1989, in tema di superamento delle barriere architettoniche.
La Corte d’Appello, pronunciatasi in secondo grado, confermava la sentenza resa dal Tribunale, “escludendo l’applicabilità dell’art. 3 della legge n. 13 del 1989, al caso di specie”, in quanto, per un verso, “il cortile che ospitava la struttura dell’ascensore non era né di proprietà comune, né di uso comune a più fabbricati, bensì di proprietà e di uso esclusivo” del condomino in questione e, per altro verso, le unità immobiliari delle parti in causa non facevano parte di un unico fabbricato condominiale, “bensì di due distinti, anche se aderenti, fabbricati”.
Il proprietario dell’ascensore, ritenendo la sentenza ingiusta, proponeva ricorso per Cassazione, il quale, tuttavia, veniva rigettato.
Secondo il ricorrente, in particolare, sarebbe del tutto irrilevante che l’ascensore fosse stato collocato sul cortile di proprietà esclusiva, in quanto l’art. 3 della legge n. 13 del 1989 risulterebbe ugualmente applicabile, dal momento che “detto articolo fa riferimento non solo ai ‘cortili comuni a più fabbricati’ ed ai ‘cortili in uso comune a più fabbricati’, ma anche ai ‘cortili interni’, indipendentemente dalla circostanza che essi siano in proprietà comune o condominiale o individuale”.
Inoltre, il ricorrente affermava che, nel caso di specie, non troverebbe applicazione il secondo comma dell’art. 3 sopra citato, in quanto tale disposizione “riguarderebbe la distanza tra le opere da realizzare e i fabbricati alieni, mentre l’ascensore di cui si tratta è collocato all’interno di un fabbricato condominiale”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dal ricorrente, in quanto “se è vero che l’art. 3 l. 13/89 (relativo alla deroga alle distanze previste dai regolamenti edilizi) contempla, oltre ai cortili ‘comuni o in uso comune a più fabbricati’, anche i cortili ‘interni’, indipendentemente dal regime dominicale di questi ultimi, ciò tuttavia non consente di pervenire alla cassazione della sentenza gravata, perché quest’ultima risulta autonomamente sorretta dall’affermazione dell’obbligo del T. di rispettare le distanze dai confini e dalle vedute previste dal codice civile deriva, nella fattispecie, dal disposto del secondo comma del suddetto articolo”.
Secondo la Cassazione, inoltre, il ricorrente avrebbe fondato il proprio ricorso sul presupposto che l’unità immobiliare della controparte faccia parte dello stesso fabbricato condominiale dell’unità immobiliare del ricorrente, mentre nella sentenza impugnata si era correttamente e motivatamente sottolineato che la costruzione dell’ascensore non coinvolgeva una proprietà comune tra condomini.
La Corte d’Appello, infatti, aveva rilevato che “non è condominiale il cortile in cui è installata la colonna dell’ascensore” e che “non è condominiale – vale a dire, non appartiene al medesimo fabbricato di cui fa parte l’unità immobiliare della M. – la muratura perimetrale a cui detta colonna si appoggia”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.