Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Napoli, in riforma della sentenza di primo grado, aveva accolto la domanda proposta da un soggetto, condannando l’INPS al pagamento dell’assegno mensile di assistenza.
La Corte d’appello, in particolare, aveva “ritenuto esistente il requisito sanitario della riduzione della capacità lavorativa generica e specifica pari al 74%”, ritenendo, altresì, che “in ragione del tempo della presentazione della domanda e dell’età dell’assistito, ultrasessantenne (…) non era necessario richiedere la sua iscrizione nelle liste del collocamento obbligatorio”.
Contro tale sentenza, l’INPS proponeva ricorso in Cassazione, evidenziando come il giudice di secondo grado avesse errato nel non ritenere necessario “l’accertamento del requisito socio-economico dell’incollocazione al lavoro, ai fini del riconoscimento del diritto all’assegno mensile”, previsto dall’art. 13 della legge n. 118 del 1971.
Secondo l’INPS, infatti, “quand’anche si ritenesse sufficiente la mera richiesta di iscrizione nelle liste speciali di collocamento obbligatorio, e non anche l’iscrizione, sarebbe comunque necessario che il ricorrente provasse anche attraverso le presunzioni il detto requisito”.
La Cassazione riteneva, effettivamente, di dover aderire alle argomentazioni svolte dall’INPS, accogliendo il relativo ricorso.
Osservava la Corte, in proposito, che l’art. 13 sopra citato, come modificato dalla legge n. 247 del 2000, non richiede la “incollocazione al lavoro ma semplicemente lo stato di inoccupazione”, in quanto la legge individua il requisito in questi termini: disabili “che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in cui tale condizione sussiste”.
Pertanto, nel caso di specie, secondo la Cassazione, “ai fini della sussistenza del requisito dell’incollocazione al lavoro”, doveva ritenersi sufficiente “la prova della richiesta (non di iscrizione negli elenchi, ma anche solo) di essere sottoposto agli accertamenti medici da parte delle commissioni previste dalla l. n. 104 del 1992, art. 4”.
In questo caso, precisava la Cassazione, il disabile “dovrà comunque fornire anche la prova di non aver lavorato in quel periodo”.
In conclusione, secondo la Corte, “il disabile che richiede l’assegno di invalidità civile, deve provare non solo di non aver lavorato, ma anche di essersi attivato per essere avviato al lavoro nelle forme riservate ai disabili”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dall’INPS, pronunciando il principio di diritto in base al quale “il requisito della incollocazione al lavoro (…) può dirsi sussistente qualora l’interessato, che ne ha l’onere, provi:
1) di non aver svolto attività lavorativa;
2) di aver richiesto l’accertamento di una riduzione dell’attività lavorativa, in misura tale da consentirgli l’iscrizione negli elenchi della legge 12 marzo 1999, n. 68, art. 8, da parte delle commissioni mediche competenti a tal fine”.