In quali occasioni si può perdere la pensione di invalidità?
Innanzitutto, la legge (L. n. 118 del 1971) stabilisce che l’invalidità civile viene riconosciuta a chi ha una menomazione fisica, intellettiva e/o psichica che causa una permanente incapacità lavorativa non inferiore a un terzo.
Per valutarne la sussistenza, una Commissione medica dell’ASL procederà ad accertamenti medici e clinici. La Commissione può accertare vari livelli di gravità dell’invalidità e, rispetto alla percentuale di invalidità accertata, il soggetto ha diritto a differenti benefici: dal 33% al 66%, si ha un’invalidità civile lieve; dal 67% al 99%, si parla di invalidità civile medio-grave; con il 100% di invalidità, si parla di non autosufficienza.
Quando viene riconosciuta un’invalidità al 100%, si ha diritto alla pensione di inabilità, nel rispetto dei limiti reddituali e di altri requisiti sanitari e amministrativi. Nello specifico, la pensione può essere richiesta da chi ha un’età tra i 18 e i 67 anni, a cui è stata accertata un’invalidità civile totale e permanente (al 100%). Inoltre, per avere diritto alla pensione di invalidità civile, gli interessati devono avere un reddito che non supera un certo limite.
Possono accedere alla prestazione sia cittadini italiani residenti in Italia, sia i cittadini comunitari e i cittadini extracomunitari legalmente soggiornanti, purché residenti abituali e stabiliti in Italia.
Quindi, perché e quando la pensione di invalidità può essere tolta?
La pensione di invalidità può essere tolta nel caso in cui lo stato di invalidità sia soggetto a visita di revisione da parte della Commissione medica dell’ASL. In particolare, se nel verbale di riconoscimento dell’invalidità viene indicata la data per un nuovo accertamento, il soggetto interessato deve sottoporsi a questa seconda visita per la conferma o meno dello status accertato in precedenza.
Se, durante l’appuntamento di revisione, la Commissione certifica la completa guarigione del soggetto, lo stato di invalidità civile non viene confermato. Di conseguenza, il diritto alla pensione di inabilità viene meno.
Però, se l’invalidità viene confermata, cosa accade se cambia la percentuale riconosciuta?
Se la Commissione attesta un miglioramento delle condizioni dell’interessato, viene attribuita una percentuale d’invalidità più bassa rispetto al 100%. Questo vuol dire perdere il diritto alla pensione di invalidità, per la quale è necessaria un’inabilità al 100%.
Tuttavia, in queste ipotesi, nonostante la pensione venga revocata, comunque si mantiene il diritto ad alcune agevolazioni in relazione alla percentuale di invalidità riconosciuta. Ad esempio, dal 67% di invalidità, si può godere dell’esenzione parziale del pagamento del ticket per visite specialistiche, pur pagando la quota fissa per la ricetta.
Però, si può perdere la pensione di invalidità anche per altri motivi.
Primo tra tutti, il superamento di una determinata soglia di reddito. Infatti, la pensione di invalidità si concretizza in un aiuto economico a coloro che, oltre ad avere una condizione di inabilità lavorativa totale e permanente, sono in uno stato di bisogno economico. Ecco perché è anche necessario che non venga oltrepassato un certo limite reddituale. Questo limite è stabilito ogni anno dalla legge: per il 2024, il limite di reddito è di 19.461,12 euro (per il 2023, 17.920,00 euro).
E non finisce qui. Oltre alla percentuale di invalidità e al limite di reddito, ci sono altre cause che possono far venire meno la pensione di invalidità.
La pensione può essere tolta anche quando vengono meno gli altri requisiti espressamente stabiliti dall’INPS, come ad esempio il superamento dell’età di 67 anni (infatti, con il raggiungimento dell’età pensionabile, spetta un altro tipo di prestazione).