Come noto, tale obbligo può essere disposto dal giudice in sede di separazione o divorzio: in particolare, il giudice, dopo aver proceduto ad un raffronto delle condizioni economico-patrimoniali dei coniugi, può decidere di porre a carico del coniuge “economicamente più forte”, il pagamento di un assegno mensile a titolo di contributo nel mantenimento del coniuge “economicamente più debole” e/o dei figli minorenni (o maggiorenni ma economicamente non autosufficienti).
Il giudice, poi, nel disporre l’obbligo di mantenimento, dovrà tenere in considerazione il principio fondamentale per cui l’assegno di mantenimento deve consentire al coniuge di mantenere un tenore di vita analogo a quello di cui godeva nel corso del matrimonio.
Va osservato che la violazione dell’obbligo di mantenimento così disposto, può avere anche conseguenze dal punto di vista penale, dal momento che l’art. 570 codice penale prevede e punisce il reato di “violazione degli obblighi di assistenza familiare”.
Nel caso esaminato dalla Corte, con la sentenza sopra citata, l’ex moglie aveva agito in giudizio nei confronti dell’ex marito, nonché padre del figlio minore nato durante il matrimonio, chiedendo la condanna dello stesso per il reato di “violazione degli obblighi di assistenza famigliare”, affermando che l’uomo, avrebbe omesso di provvedere al mantenimento del figlio, in violazione dell’obbligo imposto dal giudice in sede di divorzio.
L’uomo veniva condannato in primo grado, ma la sentenza veniva riformata in secondo grado, dal momento che la Corte d’Appello non riteneva che lo stesso dovesse ritenersi colpevole, in quanto egli si era accordato con l’ex moglie, prima che il giudice imponesse l’obbligo di mantenimento, per provvedere al pagamento del mutuo della casa coniugale, nella quale risiedeva, appunto, la moglie col figlio.
Di conseguenza, secondo la Corte, il padre non avrebbe in alcun modo voluto far mancare i mezzi di sussistenza al figlio, in quanto riteneva, in assoluta buona fede, di contribuire al mantenimento del medesimo attraverso il pagamento del mutuo.
Giunti al terzo grado di giudizio, tuttavia, la Corte di Cassazione non riteneva di dover aderire alle argomentazioni svolte dall’uomo e dalla Corte d’Appello, accogliendo il ricorso proposto dalla madre e annullando la sentenza di secondo grado.
In particolare, la Corte di Cassazione osserva come, al fine di individuare gli obblighi in capo all’ex marito si deve fare solo ed esclusivo riferimento a quanto stabilito dal giudice nel provvedimento emanato in sede di divorzio, a nulla rilevando eventuali precedenti accordi intervenuti tra i coniugi.
Dunque, poiché il giudice del divorzio aveva ritenuto opportuno imporre al padre il pagamento di un assegno mensile, a titolo di contributo nel mantenimento del figlio minore, è evidente che egli doveva provvedere ad adempiere il suo obbligo, con le modalità indicate dal giudice medesimo.
Il provvedimento del giudice, infatti, ha l’effetto di porre nel nulla eventuali precedenti accordi intervenuti tra i coniugi e non riproposti in sede di divorzio, davanti al giudice.
La Corte di Cassazione, quindi, alla luce di tali considerazioni, accoglie il ricorso proposto dalla moglie e provvede ad annullare la sentenza della Corte d’Appello, che non aveva ritenuto il marito colpevole del reato di “violazione degli obblighi di assistenza famigliare”, di cui all’art. 570 codice penale.
Con l’annullamento della sentenza, inoltre, la Cassazione rinvia la causa nuovamente alla Corte d’Appello, in modo che la stessa possa emanare una nuova sentenza, rispettosa dei principi di diritto affermati dalla Cassazione