Nel caso esaminato dal Consiglio di Stato, i tre comproprietari di un immobile avevano impugnato dinanzi al TAR, chiedendone l’annullamento, il provvedimento con cui il Comune di Fiumicino aveva ordinato loro di demolire delle opere abusive realizzate sull’immobile stesso.
I ricorrenti avevano sostenuto, in particolare, di essere “estranei alla realizzazione dell’abuso”, in quanto lo stesso era stato realizzato dalla madre, che aveva loro trasferito l’immobile in questione.
I ricorrenti avevano, inoltre, evidenziato che l’abuso risaliva a molti anni prima (1982) e che, già nel 1986, la madre, responsabile dell’abuso, era stata condannata in sede penale.
I ricorrenti, infine, avevano precisato che il Comune di Fiumicino era a conoscenza dell’abuso già dal 1982 (quando l’immobile era stato sottoposto a sequestro) e che, comunque, la madre aveva ottenuto, nel 2008, una concessione edilizia in sanatoria.
Il TAR, pronunciatosi in primo grado, aveva respinto il ricorso in questione, specificando che “l’ordine di demolizione, in quanto atto dovuto e dal contenuto rigidamente vincolato” non presuppone “né una motivazione puntuale in ordine alle ragioni di interesse pubblico che depongono nel senso della demolizione”, né “una valutazione specifica in ordine all’eventuale stato soggettivo di buona fede dell’attuale proprietario dell’immobile”.
Ritenendo la decisione ingiusta, i comproprietari dell’immobile avevano deciso di rivolgersi alla Consiglio di Stato, nella speranza di ottenere la riforma della sentenza sfavorevole.
Evidenziavano i ricorrenti, in particolare, che appariva violato l’art. 7 della legge n. 241 del 1990, in quanto l’amministrazione non aveva comunicato loro “l’avvio del procedimento finalizzato all’adozione dell’ordine di demolizione”.
Secondo i ricorrenti, infatti, che il destinatario di un ordine di demolizione deve “essere posto in condizione di interloquire con l’amministrazione in ordine alla sussistenza dei presupposti per la sua adozione”.
Osservavano i ricorrenti, in proposito, che se l’amministrazione avesse loro comunicato l’avvio del procedimento, gli stessi avrebbero potuto rappresentare alla stessa che l’abuso era stato realizzato dalla madre nel lontano 1982 e che loro avevano fatto legittimamente affidamento sul fatto che, fino ad ora, l’amministrazione non aveva adottato alcun provvedimento repressivo.
Secondo i ricorrenti, inoltre, l’ordine di demolizione sarebbe illegittimo, in quanto il Comune non avrebbe indicato le “ragioni di interesse pubblico alla demolizione del manufatto”.
Secondo i ricorrenti, infine, il TAR avrebbe dovuto tenere in considerazione il fatto che il “notevole lasso di tempo trascorso” e l’avvenuto “dissequestro dell’immobile disposto contestualmente alla condanna in sede penale della responsabile dell’abuso” aveva fatto sorgere negli stessi “una ragionevole presunzione che non sussistessero più irregolarità da perseguire”.
Il Consiglio di Stato, nel decidere circa l’appello proposto dai ricorrenti, precisava che, ai sensi dell’art. 31 , comma 4 bis del D.P.R. n. 380 del 2001, “il decorso del tempo dal momento del commesso abuso non priva giammai l’amministrazione del potere di adottare l’ordine di demolizione”.
In caso decorra molto tempo dall’abuso, infatti, al massimo possono sorgere “conseguenze in termini di responsabilità in capo al dirigente o al funzionario responsabili dell’omissione o del ritardo nell’adozione di un atto che è e resta doveroso nonostante il decorso del tempo”.
Secondo il Consiglio di Stato, inoltre, se “il decorso del tempo non può incidere sull’ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l’illecito attraverso l’adozione della relativa sanzione”, deve, di conseguenza, escludersi che l’ordine di demolizione, anche se tardivamente adottato, debba essere motivato sulla base di un “interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata”.
Precisava il Consiglio di Stato, infine, che l’ordine di demolizione di una costruzione abusiva prescinde dalla “responsabilità del proprietario o dell’occupante l’immobile”, applicandosi lo stesso anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al momento dell’irrogazione in un rapporto con la costruzione in questione tale da consentirgli di ripristinare la legalità violata.
Alla luce di tali considerazioni, il Consiglio di Stato rigettava l’appello proposto dai comproprietari dell’immobili, aderendo alle conclusioni cui era giunto il TAR.