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Marciapiede dissestato, se inciampi il Comune è sempre obbligato a risarcire i danni: nuova sentenza Tribunale di Palermo

Marciapiede dissestato, se inciampi il Comune è sempre obbligato a risarcire i danni: nuova sentenza Tribunale di Palermo
Il Tribunale di Palermo ha condannato il Comune a risarcire i danni subiti da una passante, inciampata in una buca presente sul marciapiede
Gli enti pubblici proprietari della strada sono sempre responsabili in caso di infortuni occorsi ai pedoni a causa delle condizioni dissestate dei marciapiedi.
A stabilirlo è il Tribunale di Palermo con sentenza del 14.05.2024, con la quale i giudici hanno affermato la sussistenza della responsabilità ex art. 2051 del codice civile in capo al Comune di Palermo, per i danni subiti da un pedone.

Capita spesso purtroppo che, a causa delle pessime condizioni delle strade e dei marciapiedi delle città italiane, un pedone possa inciampare e cadere rovinosamente al suolo, riportando anche gravi lesioni fisiche, che richiedono il ricorso a cure mediche o a terapie.
Frequente è, infatti, la presenza di buche o di parti notevolmente dissestate dei marciapiedi, che rendono in alcuni casi difficoltoso l’utilizzo degli stessi.

Analizziamo, quindi, nel merito la vicenda sulla quale si è pronunciato il Tribunale di Palermo, per comprendere le ragioni alla base della decisione dei giudici siciliani.

Ebbene, nel caso di specie una signora, mentre camminava sul marciapiede, inciampava in una buca. Nel cadere, si scontrava contro un albero e riportava varie lesioni. La stessa quindi agiva contro il Comune di Palermo, nella sua qualità di ente proprietario della strada e quindi di custode della stessa, chiedendo il risarcimento dei danni subiti ai sensi dell’art. 2051 c.c.

Il giudice palermitano, nell’emanare la detta sentenza, ripercorre brevemente l’ampia giurisprudenza sviluppatasi in materia.
In un primo momento infatti, la giurisprudenza, soprattutto di legittimità, ricorreva alla figura delle “insidie e trabocchetti” presenti su strade e marciapiedi. In particolare, tali figure erano necessarie per individuare l’elemento soggettivo, su cui fondare la responsabilità della Pubblica amministrazione per i danni subiti dagli utenti della strada (non solo automobilisti, ma anche pedoni).

In seguito, tale orientamento è stato abbandonato e la Cassazione ha pacificamente riconosciuto l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. anche in ipotesi del genere.
Emblematica è la sentenza n. 16295/2019, ove la Corte ha affermato che “anche in relazione alle strade comunali, con riguardo, tuttavia, alla causa concreta del danno, rimanendo gli enti locali liberati dalla responsabilità suddetta ove dimostrino che l'evento sia stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi, non conoscibili né eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione, ovvero da una situazione la quale imponga di qualificare come fortuito il fattore di pericolo, avendo esso esplicato la sua potenzialità offensiva prima che fosse ragionevolmente esigibile l'intervento riparatore dell'ente custode”.

I giudici siciliani quindi procedono ad analizzare la fattispecie di cui all’art. 2051 c.c., la quale, ai fini della sua configurabilità, richiede la presenza del rapporto di custodia tra il proprietario (in questo caso il Comune) e il bene (ovvero il marciapiedi) da cui discende l’evento dannoso.
In particolare, è considerato “custode” colui che può esercitare sulla “cosa” un immediato potere giuridico e fattuale di controllo e sorveglianza.
La norma richiamata non presuppone una verifica circa la sussistenza della colpevolezza del custode, ma è sufficiente provare il rapporto di custodia per far sorgere la responsabilità in capo al custode. Quest’ultimo poi, per non essere ritenuto responsabile degli eventuali danni verificatisi, dovrà fornire la prova che l’eventuale danno non è a lui imputabile, essendosi verificato per caso fortuito o forza maggiore (ad esempio per la condotta del soggetto danneggiato).

Quanto al concetto di caso fortuito, lo stesso viene definito come un “atto di impulso causale” fuori dalla sfera di controllo del custode.
Per provare il caso fortuito, quindi, il convenuto deve dimostrare che un evento esterno (che può anche essere costituito dalla condotta della vittima) ha determinato il danno, escludendo così il nesso di causalità tra la cosa custodita ed il danno subito dalla vittima.

Tuttavia, è altamente probabile che una strada o un marciapiedi, nel corso degli anni, possano subire delle alterazioni o delle anomalie (ad esempio tratti dissestati, ampie buche ecc.). Ciò infatti deriva dalle caratteristiche delle strade, che dopo un certo lasso di tempo sono soggette a danneggiamenti. Ne consegue che sarà molto difficile, per gli enti proprietari della strada, provare che i danni subiti dagli utenti siano dovuti a fattori imprevedibili e non evitabili.
In linea generale, infatti, grava sul Comune un obbligo di manutenzione della strada, per evitare che la stessa possa appunto presentare dette anomalie. A temperare parzialmente tale obbligo nei riguardi dell’ente locale vi è, poi, un onere di diligenza e prudenza che grava pur sempre in capo al passante che, nell’utilizzo della strada, deve comunque evitare di porre in essere comportamenti pericolosi e imprudenti.

Il Comune di Palermo tuttavia replicava alla richiesta di risarcimento danni avanzata dalla ricorrente, affermando che, attraverso un contratto di servizio, aveva incaricato una società terza di gestire la rete stradale. Pertanto, procedeva alla chiamata in causa della stessa.
Ebbene, il Comune eccepiva che della manutenzione della strada era incaricata tale società, pertanto il potere di custodia ex art. 2051 c.c. gravava in capo alla stessa.
La società, tuttavia, replicava affermando che, in realtà, il contratto di servizi stipulato con l’ente locale prevedeva solo lo svolgimento di periodici lavori di manutenzione e verifiche.

Secondo il Tribunale, quindi, il Comune - per andare esente da responsabilità e dimostrare che la stessa gravava invece in capo alla società terza - avrebbe dovuto provare che la stessa era tenuta ad effettuare interventi di manutenzione programmata o interventi di controllo sull’area interessata dal sinistro. In alternativa, l’ente locale avrebbe dovuto fornire la prova che, nonostante l’avvenuta segnalazione delle anomalie presenti sul marciapiede, le stesse non fossero state riparate dalla società incaricata.

Il Tribunale quindi analizza i diversi oneri probatori spettanti in capo a ricorrente e convenuto.
Quanto al ricorrente, i giudici ritengono che lo stesso abbia pienamente assolto al proprio onere probatorio, dimostrando di aver riportato un infortunio a causa di una buca, non segnalata, presente sul marciapiede.
Quanto invece all’onere gravante in capo al Comune, il Tribunale ritiene che lo stesso non sia stato in grado di fornire la prova liberatoria. L’ente locale, infatti, non ha potuto negare la presenza dei dissesti. Di conseguenza, per andare esente da responsabilità, ha invocato la negligenza della danneggiata, che non avrebbe seguito le comuni regole di diligenza ed accortezza - che avrebbero evitato l'infortunio - senza però provare alcunché.
Nel caso di specie, tuttavia, il Comune non è riuscito a fornire alcuna delle predette prove: pertanto i giudici palermitani accolgono la domanda della ricorrente e condannano il Comune al risarcimento dei danni dalla stessa subiti.

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