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Licenziato il lavoratore che simula lo stato di malattia per prolungare il periodo di congedo dal lavoro

Lavoro - -
Licenziato il lavoratore che simula lo stato di malattia per prolungare il periodo di congedo dal lavoro
Secondo la Cassazione tale condotta è di gravità tale da giustificare il licenziamento poichè fa venir meno il rapporto di fiducia tra lavoratore e datore di lavoro.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9598 del 13 aprile scorso, si è occupata di un interessante caso in materia di diritto del lavoro e di licenziamento per giusta causa (art. 2119 c.c.).

In particolare, è legittimo il licenziamento di un lavoratore che simula il proprio stato di malattia per prolungare il periodo di congedo dal lavoro?

La Corte di Cassazione ha esaminato proprio un caso di questo tipo, confermando la legittimità del licenziamento intimato ad un lavoratore che aveva tenuto la condotta sopra descritta.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, in particolare, la Corte d’appello di Brescia, in riforma della sentenza di primo grado, aveva rigettato l’impugnazione del licenziamento che era stato intimato ad un lavoratore, che aveva fatto finta di essere ancora malato, per prolungare il periodo di congedo dal lavoro che gli era stato accordato.

Secondo la Corte d’appello, infatti, doveva ritenersi sussistente un’ipotesi di “giusta causa” di licenziamento, ai sensi dell’art. 2119 c.c.

Ritenendo la decisione ingiusta, il lavoratore decideva di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.

Secondo il ricorrente, in particolare, la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto sussistente la “giusta causa” di licenziamento che, quindi, doveva essere dichiarato illegittimo.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione al lavoratore, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.

Secondo la Cassazione, in particolare, la Corte d’appello aveva correttamente applicato la norma di cui all’art. 2119 cod. civ. (giusta causa di licenziamento), ritenendo che la condotta posta in essere dal lavoratore avesse assunto il carattere della “gravità”, facendo venir meno il rapporto di fiducia che lega il lavoratore al datore di lavoro.

La Corte d’appello, infatti, aveva adeguatamente argomentato circa la sussistenza della “giusta causa”, sia per quanto riguarda la contestazione disciplinare, sia per quanto riguarda l’intimazione del licenziamento, sia “sotto il profilo della lesione definitiva e irreparabile del vincolo fiduciario”.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dal lavoratore, condannando il medesimo al pagamento delle spese processuali e condannando il ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.


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