Per tali motivi è importante sapere quando un licenziamento è da considerarsi illegittimo e cosa fare per tutelarsi.
Partiamo col dire che un licenziamento può considerarsi “regolare” solo se giustificato e sorretto da motivi che la legge stessa individua. Normalmente, si è soliti distinguere tra motivi oggettivi e soggettivi.
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo può realizzarsi in tutti i casi in cui il licenziamento stesso sia riconducibile ad esigenze aziendali connesse all’attività produttiva dell’impresa, alla sua organizzazione o al regolare funzionamento (ad esempio: ridimensionamento aziendale o soppressione di un reparto dell’azienda).
Spesso, infatti, una crisi aziendale può essere superata solo tagliando i costi, nel cui novero rientra spesso – purtroppo – anche una conseguente riduzione del personale.
Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, invece, si realizza ogniqualvolta l’azienda receda dal rapporto di lavoro per ragioni che sono ricollegabili a comportamenti avuti dal dipendente (ad esempio: comportamenti negligenti o scarso rendimento sul lavoro).
Bisogna tener presente che, solitamente, un singolo comportamento “inadeguato” del lavoratore non può giustificare un licenziamento “in tronco”.
Infatti, qualora il datore di lavoro ritenga il comportamento del lavoratore inadeguato, è tenuto ad attivare un procedimento disciplinare attraverso l’invio di una lettera di contestazione a cui il lavoratore avrà 5 giorni di tempo per rispondere (sia in forma scritta che verbale).
Non è detto, però, che l'esito del procedimento disciplinare sia il licenziamento.
Difatti, il licenziamento, rappresentando una "sanzione massima", potrà essere irrogato solo in presenza di condotte illegittime reiterate dal lavoratore o in caso di comportamenti ritenuti molto gravi.
In ogni caso, il licenziamento dovrà essere comunicato al lavoratore con un congruo preavviso (i cui termini sono stabiliti dai CCNL). Durante il periodo di preavviso e fino alla scadenza dello stesso il lavoratore potrà continuare a lavorare e percepire lo stipendio.
Qualora il datore di lavoro non fornisca tale adeguato preavviso sarà tenuto a versare al lavoratore la c.d. indennità di preavviso, ossia una somma equivalente all’importo che sarebbe spettato per il periodo del preavviso lavorato.
L’unica eccezione alle regole sopra delineate è il licenziamento per giusta causa (art. 2119 c.c.).
In questo caso il comportamento avuto dal lavoratore è considerato talmente grave da condurre all’immediata interruzione del rapporto di lavoro, senza alcun preavviso.
Un licenziamento può dirsi sorretto da giusta causa qualora, ad esempio, il lavoratore abbia commesso furti in azienda, abbia aggredito fisicamente o verbalmente colleghi o superiori, in caso di assenze ingiustificate dal lavoro o falsa malattia, falsificazioni del cartellino delle presenze o anche in caso di rivelazione di segreti aziendali.
Qualora si riceva una lettera di licenziamento, a prescindere dal motivo addotto dal datore di lavoro, il lavoratore può comunque tutelarsi.
La prima cosa da fare è impugnare (per iscritto) il licenziamento entro 60 giorni dal ricevimento della lettera.
L’impugnazione, firmata dal lavoratore, deve essere trasmessa al datore di lavoro (meglio se tramite raccomandata con ricevuta di ritorno o posta elettronica certificata).
L’impugnazione, però, diventa inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di 180 giorni dal momento in cui è stata inviata la lettera di impugnazione stessa, (i) dal deposito di un ricorso presso il Tribunale ovvero (ii) dalla richiesta (comunicata al datore di lavoro) di tentativo di conciliazione o arbitrato.
Qualora, poi, la conciliazione o l’arbitrato siano rifiutati o non si raggiunga un accordo, entro i successivi 60 giorni (decorrenti dal rifiuto o dal mancato accordo), il lavoratore dovrà depositare - comunque - ricorso in Tribunale.
Nella sede giudiziale l’onere della prova graverà in capo al datore di lavoro, che dovrà dimostrare la legittimità del licenziamento.
Ma – poi – cosa accadrebbe se il Tribunale dovesse accogliere il ricorso del lavoratore?
Ebbene, qualora si accerti l’illegittimità del licenziamento, il datore di lavoro sarà tenuto a riassumere il lavoratore entro il termine di 3 giorni o – in mancanza – a risarcire il danno mediante il versamento di un’indennità, il cui importo può variare tra 2,5 e 6 mensilità.
Tuttavia, tale indennità può essere maggiorata fino a (i) 10 mensilità per il lavoratore con anzianità superiore a 10 anni e (ii) 14 mensilità per anzianità superiore a 20 anni (se il datore di lavoro occupa più di 15 dipendenti).