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Lavoro: nuove norme sui contratti a termine

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Lavoro: nuove norme sui contratti a termine
È entrato in vigore da pochi giorni il decreto sui “nuovi” contratti a tempo determinato: breve rassegna dei principali cambiamenti
Risale a pochi giorni fa l’entrata in vigore del decreto legge n. 48/2023, che ha introdotto una serie di importanti modifiche alle norme sui contratti a termine. La conseguenza di tali modifiche è una maggiore facilità nell’utilizzo del contratto a tempo determinato.
Come di solito avviene, non sono mancate le polemiche tra i sostenitori e i contrari alle nuove norme.
In particolare, i sostenitori (governo compreso) sostengono che, poiché le nuove norme comportano un aumento della flessibilità, ciò dovrebbe incentivare l’occupazione.
I contrari, invece, temono un aumento della precarietà che già caratterizza la posizione di molti lavoratori.
Ma esaminiamo nel dettaglio di cosa si tratta.
Bisogna tenere presente che, secondo la precedente normativa, contenuta nel D. Lgs. 81/2015, si consentiva la fissazione di un termine superiore a dodici mesi, nonché la stipula di proroghe (successive ai primi dodici mesi) e di rinnovi, sulla base delle "specifiche esigenze" previste dai contratti collettivi di lavoro.
Ora, in base all’art. 24 del D.L. 48/2023, che ha modificato il D. Lgs. 81/2015, per la stipula dei contratti a termine si fa riferimento ai “casi previsti dai contratti collettivi”; in mancanza di tali previsioni (nei contratti collettivi applicati in azienda), sono le parti stesse del rapporto di lavoro a poter individuare le “esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva” sulla base dei quali stipulare, prorogare o rinnovare i contratti a termine.
Tale possibilità è prevista fino al 30 aprile 2024.
È evidente, dunque, che le nuove norme consentono una maggiore libertà nella stipula di contratti a tempo determinato, lasciando spazio, almeno sulla carta, alle trattative tra le parti.
Tuttavia, il significato delle nuove norme non è chiarissimo se si passa ad esaminare il ruolo dei contratti collettivi.
Secondo alcuni, infatti, i contratti collettivi possono ancora determinare le causali del contratto a termine: anzi, proprio l’eliminazione dei riferimento alle “specifiche esigenze”, in precedenza previste dal D. Lgs. 81/2015, aumenterebbe il potere dei contratti collettivi di determinare il ricorso al contratto a termine.
Un problema che si pone è quello di capire se le parti del contratto di lavoro possano individuare la causale - come appunto previsto dalla nuova normativa - laddove vi siano accordi sindacali stipulati in base alla normativa precedente.
Teoricamente, la risposta dovrebbe essere negativa.
Non mancano, però, opinioni contrarie.
Secondo tale diversa posizione, infatti, l’autonomia individuale (ossia la libertà delle parti di individuare le causali del contratto a termine) troverebbe un ostacolo solo in caso di nuovo accordo collettivo ai sensi delle nuove norme, che prevedono, come si è visto, il potere della contrattazione collettiva di individuare i casi in cui è consentito apporre un termine al contratto di lavoro subordinato.


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