Nel caso esaminato dagli Ermellini, il Tribunale di Trapani aveva dichiarato l’illegittimità dei termini apposti ai contratti di lavoro stipulati tra un lavoratore e l’Azienda sanitaria provinciale di Trapani, condannando quest’ultima al risarcimento dei danni in favore del dipendente, quantificato in 12 mensilità di retribuzione, in applicazione dell’art. 32 della legge n. 183 del 2010.
La sentenza era stata, tuttavia, riformata dalla Corte d’appello di Trapani, in quanto la stessa aveva ritenuto che il lavoratore non avesse provato il danno subito, com’era, invece, suo onere, ai sensi dell’art. 36 del Testo Unico n. 165 del 2001 (Testo Unico Pubblico Impiego).
Ritenendo la decisione ingiusta, il lavoratore aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
La Corte riteneva, in effetti, di dover dar ragione al lavoratore, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.
Osservava la Cassazione che, già precedentemente le Sezioni Unite (sentenza n. 5072 del 15 marzo 2016) avevano precisato che, in materia di pubblico impiego privatizzato, nel caso in cui vengano illegittimamente rinnovati contratti a termine, il relativo danno è “presunto” e il risarcimento ha valore “sanzionatorio”, dovendo lo stesso essere quantificato secondo i criteri stabiliti dall’art. 32 della legge n 183 del 2010.
Precisava la Suprema Corte che “il danno per il dipendente pubblico è diverso dal lavoratore privato”, dal momento che “se il termine è illegittimamente apposto” non si ha “la possibilità di ottenere la conversione del rapporto a tempo indeterminato” e si perde, dunque, “la chance della occupazione alternativa migliore”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dal lavoratore, annullando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’appello, affinchè la medesima riesaminasse le conseguenza dell’illegittima apposizione del termine al contratto del lavoratore in questione.